Oggi ve lo dico: i dolcificanti non fa dimagrire, ma fanno ingrassare!

 

Ebbene sì, lo so già da un po’, ma ogni tanto faccio finta di non saperlo, perché usare lo zucchero mi da subito l’idea di ingrassare!!!

Tempo fa sono andata dal Dottor Speciani, alla clinica Eurosalus, per un consulto su intolleranze ed abitudini alimentari.

Vi avevo già parlato di questa visita, e del Dottor Speciani.

Era stato lui a spiegarmi che per vincere gli attacchi di fame serali, che spesso si presentano per colmare dei vuoti, bisognava iniziare la giornata con un’abbondante colazione, iniziando a riempire quei vuoti dalla mattina.

Ma ora torniamo ai dolcificanti

Prima di andare alla visita, la signora che mi aveva fissato l’appuntamento al telefono,  mi aveva anche raccomandato di leggere alcuni articoli sul loro sito.

Fino a quel giorno mi ero illusa che bere bibite light, e dolcificare con i dolcificanti, fosse il primo passo verso il mondo delle magre.

Avevo anche provato a bere il caffè senza zucchero

A detta di molti il caffè senza zuccherò è davvero più buono, ma io proprio non ce la faccio: bevo un caffè al giorno, con il latte (ora di riso, perché ho eliminato tutti i latticini), e quel caffè deve essere dolce, mooooolto dolce!

Da quella visita una domanda mi è sorta spontanea: se nessuno è mai riuscito a dimagrire con i dolcificanti ipocalorici ci sarà un perché!?

Nel corso degli anni numerosi studi hanno confermato che l’uso di bibite light, piuttosto che di cibi trasformati in ipocalorici, ha contribuito alla crescita dell’obesità anziché alla sua diminuzione.

Il problema non è la presenza o meno di zucchero: che si usino zuccheri normali, o dolcificanti, il sapore dolce determina comunque un segnale forte che attiverà, in seguito, una ricerca ulteriore di altro zucchero e di carboidrati, e quindi di cibi ricchi di calorie.

Il famoso “zucchero chiama zucchero”:

Un articolo pubblicato tempo fa sul Time, nella sezione “Health and Family”, spiegava in modo molto preciso questa sequenza di eventi, segnalando l’importanza della dolcificazione in sé come induttore di una ricerca successiva di calorie, preferibilmente ottenibili attraverso sostanze zuccherine.

A questo punto, se proprio non si riesce a farne a meno, tanto vale usare dello zucchero normale, o al massimo dello zucchero non trattato, integro.

E quindi?

E quindi evviva lo zucchero di canna, e la vera dolcezza, quella autentica!

Besos

Barbara

 

 

 

Salvatempo o cellulare?

Se ripenso a quel giorno di circa 10 anni fa…

Di solito a fare la spesa ci vado da sola, la mattina, subito dopo aver accompagnato Danny a scuola.

Ma quel giorno al supermercato ci sono andata di sabato, con il mio giovane marito.

“Ma non prendi il salvatempo?”

“Il salvatempo??? No, no! A me ste cose moderne non piacciono!

Io sono stagionata, come simpaticamente mi chiama mio marito, e la spesa mi ostinavo a farla normalmente, buttando le cose nel cestino, o nel carrello, e facendo la coda alle classiche casse, dove a volte ti capita pure di scambiare due chiacchiere.

La verità è che una volta ci avevo anche provato ad usare quel cavolo di salatempo, ma avevo dimenticato di battere la metà delle cose, e proprio quel giorno mi era capitata la rilettura!

Che vergognaaaaaaaaa!

La cassiera avrà pensato che volessi rubare giusto qualche cosuccia, per risparmiare un po’…

Ero anche stata tentata di cambiare supermercato, per la figuraccia che avevo fatto, ma dopo una sola spesa dal nemico, avevo deciso di tornare velocemente all’ovile, a testa bassa.

Il salvatempo non faceva proprio per me, e la volta dopo mi ero rimessa buona buonina in coda, tanto all’ora in cui andavo io, non c’era mai troppa gente.

Poi un giorno, la parte orgogliosa che c’è in me, si è messa a sussurrarmi nell’orecchio “Eddai su riprovaciiiiii!”

Bingo!

Nessuna rilettura, forse un piccolo furto involontario, ma tutto era filato liscio.

La terza volta mi era ricapitata la rilettura e, attenzione attenzione, avevo battuto più cose di quelle prese, e la cassiera mi aveva salvata da un extra conto!

Ci ho messo un po’, ma ora sono diventata bravissima, e velocissima.

Beh, proprio bravissima issima no, dai!

Ogni tanto mi capita di cercare di leggere i codici a barra col telefonino, invece che con il “telecomando” del salvatempo.

Sì, sì lo so che non si chiama “telecomando”, ma “lettore ottico”, ma io sono stagionata, ve lo eravate dimenticato?!

Pensate che il telecomando di casa lo chiamo “cambiere”!!!

E il bello è che quando leggo i codici a barre col telefonino, all’inizio mi incavolo pure, perché non sento il classico BIP di conferma della lettura e penso che, come ogni tanto succede, il codice a barre sia illeggibile!

Poi mi guardo la mano destra e vedo lui, il mio cellulare, e nella mano sinistra lui, il lettore ottico.

“Chi è stato scambiatiiiii!?!??! Fatevi avanti codardi”

E allora la rabbia si trasforma in una fragorosa risata, che di solito scoppia tra i banchi della frutta e della verdura, dove a volte mi capita di scattare qualche foto, e il cellulare mi rimane in mano, al posto del lettore, ops!

Che se poi vogliamo dirla tutta, secondo me io questi errori non li faccio perché sono un po’ stagionata, e tanto sbadata, ma perché sono troppo avanti!!!

Volete vedere che entro un paio di anni i codici a barre li leggeremo davvero col cellulare, e lo scontrino finale sarà direttamente addebitato sulla nostra carta di credito senza neanche bisogno di passare dalle casse veloci?!

Besos

Barbara

 

 

 

Pronto?! Posso riavere i miei diritti?!

Quando si nasce donne i doveri sono già moooolti di più dei diritti.

Vorremo mica paragonare il doversi radere la barba tutti i giorni ai simpatici dolori mensili, e ai 9 mesi di incintidudine, parto compreso?!

Ecco! Forse fa più male un calcio sui maroni che uno sulla patata, ma per il resto direi i maschietti sono parecchio più fortunati di noi!

Per non parlare di quando una donna diventa una donna in carriera…

Il mondo è ormai pieno di donne che comandano, ma non vorrete mica dirci che hanno vita facile vero?!

Intanto dietro ad ogni angolo c’è sempre un uomo pronto a farle lo sgambetto, a gamba tesa, e poi se queste donne non hanno la fortuna di essere ricche, quando tornano a casa si tolgono i tacchi e indossano il grembiule, senza fare una piega né per fuori né per dentro!

Quando si diventa mamme i doveri aumentano drasticamente, e i diritti vanno a farsi friggere.

Una donna che lavora non è esonerata dalle faccende domestiche, e le deve fare pure bene.

Una donna che lavora, ed è anche mamma, dovrebbe avere le giornate di 48 ore, e una flebo di redbull perennemente attaccata al braccio.

Quante volte ci ritroviamo a girare il sugo con la mano sinistra, a mandare una mail con quella destra, e ad aprire il forno con un piede?

Una donna che poi è anche una maledetta perfezionista, può anche essere nata con la camicia, ma andando avanti rischia di ritrovarcisi legata dentro quella camicia, di forza.

Ci sono donne che non realizzano, e vanno avanti così, tra doveri e doverizzazioni, col il rischio di impazzire, e di rovinare tutto quello che sono riuscite a costruire.

E ci sono donne che un giorno si svegliano e capiscono di essere arrivate al limite.

Meglio tardi che mai…

Ci sono momenti in cui il fondo lo sfiori, ma non lo tocchi, e allora ti sembra di potercela fare, e vai avanti così, cercando di dare sempre il massimo, anche quando vorresti solo chiudere le persiane e riposare un po’, anche se fuori c’è il sole.

Ci sono momenti in cui invece il fondo lo tocchi, andandoci proprio a sbattere,  e allora capisci che è arrivato il momento di cambiare qualcosa.

La famiglia conta molto, gli amici contano molto, ma anche noi contiamo.

A volte non basta un bagno caldo, a volte non basta una seduta dall’estetista, a volte serve di più…

In un mare di doveri  abbiamo il dovere di riappropriarci dei propri diritti.

Abbiamo diritto di fare ciò che ci è necessario per garantire la nostra dignità, la nostra felicità, la nostra soddisfazione.

Abbiamo diritto di realizzare i nostri progetti, e i nostri sogni, senza ovviamente violare i diritti degli altri, e senza sentirci in colpa nei confronti di niente e di nessuno.

Abbiamo diritto di chiedere aiuto quando non ce la facciamo da soli, senza vergognarci.

Abbiamo diritto di chiedere informazioni e delucidazioni, e di dire di NO, quando non ce la facciamo, quando non ci va.

Abbiamo diritto di rispondere “Non lo so“, e anche di sbagliare, di cambiare idea, e di pensarci su.

Abbiamo diritto di fare meno di quello che è il limite dell’umanamente possibile!

Abbiamo diritto di avere e di manifestare le nostre emozioni, sia quando ci va di commuoverci davanti a un film, che quando ci va di urlare solo perché abbiamo bruciato due fette di pane nel tostapane.

Abbiamo diritto di stare bene con noi stessi, indipendentemente da come stanno gli altri.

Abbiamo diritto di sentirci vivi!

Spesso le norme e le regole che vengono trasmesse da generazioni a generazioni, sono troppo rigide.

Troppi doveri, e troppo pochi diritti: se non rispetti le regole devi sentirti in colpa.

Ma chi lo ha detto?! Ma dove sta scritto?!

Bene! Da oggi non ho davvero più voglia di essere perfetta.

Da oggi mi sforzerò di andare a letto lasciando almeno un piatto sporco nel lavandino.

Da oggi voglio dedicarmi alla lettura di un libro travolgente anche se è quasi l’ora di cena, per poi chiedermi sorridendo “Ops, e adesso che non ho cucinato nulla che si mangia stasera?”

Ieri mi sono collegata al sito di Bikram Yoga e ho prenotato la mia prima lezione di prova.

Oggi ho staccato il telefono per più di due ore, senza pensare a cosa sarebbe successo se mio figlio si fosse sentito male, e io non fossi stata reperibile.

Il papà è via per lavoro? Hanno anche il numero della nonna, si arrangeranno.

Oggi facendo la mia prima lezione di Bikram Yoga mi sono sentita prima donna, e poi mamma e moglie.

Oggi appena uscita da quella lezione mi è suonato il telefono: era la maestra di mio figlio…

Mio figlio non stava bene, e io c’ero, per lui, al momento giusto.

Le mamme certe cose le sentono, e i figli anche: ha aspettato che mamma finisse le sue due ore da donna, e poi ha richiesto la mia presenza, e io sono corsa da lui, senza fare la doccia.

Ricordatevi che i doveri sono importanti, ma i diritti lo sono ancora di più.

Perché una donna felice, e realizzata, sarà di sicuro un’amica, una compagna e una madre più serena.

Besos

Barbara

 

 

 

Bentornata creatività

 

Era tanto che mi sentivo un po’ come una pentola in cui l’acqua bolle, e bolle, e bolle, e nessuno ci butta niente.

Se l’acqua continua a bollire, e nessuno tu non ci butti dentro niente, pian pianino l’acqua evapora, e il fuoco va spento, si spegne.

E quando il fuoco si spegne che fai?!

Capisci che hai perso qualcosa, e ti dedichi ad altro, magari facendoti assorbire dal sistema delle “doverizzazioni”.

Doverizzazioni? Sì, sì, avete letto bene!

Devo essere una brava mamma, una brava moglie, una brava casalinga, una brava pr…

Ma quell’acqua che bolliva, e quel fuoco che la faceva bollire?!

Cos’era? Cosa è successo?

Creatività, passione, desideri…

Quante volte ci passa per la mente qualcosa che avremmo voglia di fare, qualcosa che ci fa brillare gli a occhi, e poi nulla!?!

Qualcuno o qualcosa ci spegne quel fuoco, e noi lasciamo fare, perché sentiamo che abbiamo altro di più importante da fare, e non abbiamo tutto tempo da perdere.

A volte la paura fa brutti scherzi…

A volte il timore di fallire diventa peggio di un freno a mano.

Ma la vita è una sola, e l’acqua che bolle, scaldata da un fuoco, è qualcosa di troppo prezioso per essere sprecato.

E se poi ci provo e non va bene?

E se finisce che spreco il mio tempo per un sogno senza futuro?

Ma chi se ne importa! Intanto proviamoci, per non vivere di rimpianti…

E poi la giornata è fatta di 24, e il tempo, se uno davvero lo vuole, lo trova.

Quanto tempo dedichiamo ai social network, a facebook, a whatsappare con gli amici, a guardare la tv …

E se quel tempo lo dedicassimo a qualcosa di diverso? Ad un sogno? Ad una passione?

Detto da me fa un pò ridere, ma proprio perché ci sto provando anche io, forse potete provarci anche voi.

Quando ero ragazzina riempivo i diari di disegni, infilavo perline, e facevo bancarelle dove vendevo quello che creavo, e che scovavo.

Ad un certo punto dai diari sono passata alle tele e ai pennelli.

Ho sempre avuto un certo prurito alle mani…

Quest’estate mi sono ritrovata ad arredare la nostra nuova casa in campagna, in Puglia, e le mani hanno riniziato a prudermi.

Ho dipinto sedie e trasformato strani oggetti in complementi d’arredo.

Quanto mi sono divertita!

Quanto mi sono sentita viva!

Quest’estate ho capito che nella mia vita mi mancava qualcosa…

Quest’estate ho sentito l’acqua che bolliva, e mi sono ripromessa che non avrei più permesso a niente e nessuno di spegnere quel fuoco.

Era da anni che mi mancava qualcosa, e non capivo cosa…

Sono diventata mamma; ho un marito di cui mi lamento sempre, ma che è esattamente il compagno che ho sempre desiderato; e bene o male ho sempre lavorato, guadagnandomi quello che mi serviva per vivere bene.

E quindi? Cosa mi mancava?

Mi mancava lei, la mia creatività!

Fare la mamma mi rende felice, fare la moglie anche, ma creare mi fa sentire viva.

Era da un pò di tempo che avevo un’idea, e ora ho deciso di provare a realizzare un sogno.

Ho comprato una pinza, degli anellini, la colla, e tanto altro, e mi sono messa al lavoro.

Forse questo progetto mi scoppierà tra le mani, o forse non succederà nulla, ma era anni che non mi sentivo così felice.

Bastano degli orecchini a farti felice? A volte sì, a volte basta anche molto meno…

Se lasci un sogno nel cassetto troppo a lungo, quel sogno farà la muffa!

Tirate fuori dai cassetti sti benedetti sogni, trascurate un pó quel senso del dovere che cammina sempre al vostro fianco, passate un pó meno tempo davanti agli schermi, e accendete  i vostri fuochi!

Besos

Barbara

 

 

Pasta al “vero” pomodoro

 

Ursula, una delle mie più care amiche, anni fa, ha deciso di trasferirsi ai Caraibi, e non è più tornata.

Vogliamo darle torto?!

E vogliamo parlare di quella sana invidia che mi assale tutte le volte che penso a lei!?

Vabbè, sorvoliamo…

Un paio di sere fa è venuta a cena da me con sua figlia.

Ai Caraibi i pomodori costano come l’oro e allora ho pensato che le due fanciulle avrebbero gradito un bel piatto di pasta al pomodoro, pomodoro vero, e non in bottiglia.

Se devo essere proprio sincera sincera, io avevo sempre usato il pomodoro in bottiglia, o al massimo i pelati, poi quest’estate la mitica Stefania di Barletta (mamma di un compagno di Danny), quella che ogni tanto mi da qualche ricetta (che fa pure rima), mi ha insegnato a fare il vero sugo di pomodoro, e ora non posso più farne a meno!

imageIniziamo come sempre con gli INGREDIENTI:

per 4 persone

due confezioni di pomodorini datterini (che di solito qui al nord sono i più saporiti), o anche di ciliegini se li trovate profumati (è da lì che si capisce se sono saporiti!)

Cacioricotta (io me lo sono portato dalla Puglia, ma si trova abbastanza buono anche nei supermercati)

Pasta a vostro gradimento (io ho usato i tortiglioni di Kamut bianco. Ormai mangio quasi esclusivamente pasta di Kamut integrale perché è più leggera e digeribile, e mi piace di più, ma siccome avevo ospiti ho optato per il kamut bianco, molto simile alla pasta classica)

Olio, cipolla e sale (anche per il sale da un po’ ho cambiato, e ora uso solo sale integro, ossia non trattato, e ho scelto il sale rosa dell’Himalaya, sia fino che grosso.

E’ un sale decisamente più caro del sale classico, ma leggete i suoi benefici e vedrete che correrete a comprarlo subito. La cosa più importante è che riduce la ritenzione idrica. Brutto?!?!

Una volta che avete tutto INIZIAMO:

Fate bollire l’acqua, prendete i vostri pomodorini, li lavate bene e, una volta che l’acqua bolle, e che l’avete salata, fate sbollentare i vostri pomodorini per 5 minuti.

A quel punto scolate i vostri pomodorini (io li levo dall’acqua con la schiumarola così tengo l’acqua per la cottura della pasta).

Una volta scolati i pomodorini li passate, così come sono, nel passaverdura o, se non lo avete, li frullate e poi filtrate il tutto con l’aiuto di un colino, per eliminare buccia e semi.

Mettete il sugo ottenuto in un pentolino e, aggiustandolo di sale, fatelo andare a fuoco basso per circa 15 minuti.

Io ci ho fatto anche un soffritto leggero usando mezza cipolla, e un filo di olio, e frullando il soffritto, col minipimer, prima di versarci sopra il sugo (mio figlio la cipolla la mangia, ma è meglio che non la veda!)

Mentre il vostro sugo va, prendete il cacioricotta e ne grattate un bel po’ (io per 4 ci gratto metà forma di quelle classiche tonde). Un po’ lo metterete direttamente sulla pasta mentre la saltate con il sugo, a fine cottura, e un po’ lo portate a tavola in modo che ogni ospite possa aggiungerne a piacere.

Direi che è tutto!

Buona pappa

Barbara

Rostin nega’a: ricettina!

 

Vivo a Milano dal lontano settembre del 1989

Quest’anno ci sarà sto cavolo di EXPO (“cavolo” mi sembra il temine giusto, visto che si parlerà di cibo no?!)

E quindi mi sembra il momento giusto per imparare a fare un piatto della tradizione meneghina: il mitico “Rostin nega’a”, ossia un bel arrostino annegato nel vino.

Perché diciamocelo, ma in questo Expo ci sarà un po’ di tutto, e verranno a fare i maestrini da tutto il mondo, ma noi in Italia abbiamo poco da imparare, e tanto da insegnare, sul cibo, o no?!?

Pensate a quante regioni ci sono, a quante tradizioni, a quanti piatti vecchi, e a quanta innovazione.

Brasati, lessi, risotti, e ora le spume.

Cibo in foglie e polvere di tartufo.

La pasta fresca, e le lasagne delle nonne.

Ma cosa vogliono venire ad insegnarci e noi eh?!?!?!?!?

In questo momento mi sento molto patriottica, e quindi?!

Qualche problema?!

Se vi do fastidio basta un click, et au revoir!

Andate pure a leggere come si fa il patè de fois gras (poco sano, ma tantooooo bbbbbono)

Se invece, come me, oggi avreste voglia di sventolare la bandiera italiana, cantano “Oh mia bella Madunnina”, allora rimanete connessi con quella che tempera i tacchi, e beccatevi la ricetta facile facile per fare il “Rostin nega’a”

imageIniziamo come sempre dagli INGREDIENTI: se siete in 4 comprate 4 bei nodini di vitello, e se il vostro macellaio è simpatico, chiedetegli di tagliarvi già i nervetti interni, così non vi si arricceranno in fase di cottura.

15/20 grammi di pancetta a dadini (io ho abbondato a 50 grammi, ops)

un rametto di rosmarino

farina

50 grammi di burro (io ne ho messi 30)

1/2 bicchiere di vino bianco secco

Se avete tutto possiamo iniziare

 

E ora le alternative sono 2:

O vi leggete la ricetta originale che vi ho pubblicato qui sotto oppure, siccome vi voglio bene, seguite la traduzione che mi ha gentilmente fatto la mia amica Clara

rostin

OK ok TRADUCO!

Mettete la pancetta a rosolare con il burro e il rametto di rosmarino.

Infarinate i vostri nodini di vitello e li aggiungete alla pancetta e al burro facendoli rosolare bene su entrambe i lati.

A quel punto aggiungete il 1/2 bicchiere di vino, coprite e fate andare a fuoco lento per circa mezz’ora (girando la carne a metà cottura)

Il tempo di cottura può variare a seconda dello spessore dei vostri nodini.

Per sapere il tempo esatto chiedete al vostro macellaio una volta che vi da la carne.

Come contorno io ho scelto una semplice insalata verde, ma ci stanno bene anche delle patate al forno.

Buona pappa, e viva l’Italia!

Bacetti

Barbara

 

Dal cestino della rabbia alle inutili punizioni, passando per un bell’urlo!

 

Se capovolgete la scritta mamma, in inglese, leggerete “wow”.

Eh sì, perché fare la mamma è davvero how!

Fare la mamma è emozionante!

Fare la mamma è gratificante!

Fare la mamma vuol dire avere la scusa per tornare bambini, e risalire sulle tue giostre preferite senza mai sentirsi troppo vecchie per farlo.

Fare la mamma vuol dire avere la certezza che finalmente qualcuno ti amerà per quello che sei, e per sempre.

Perché i figli ti amano anche quando li sgridi, anche quando li metti in punizione.

Fare la mamma è wow, ma fare la mamma è anche il mestiere più difficile del mondo!

Il problema di quando fai un mestiere complicato, come quello della mamma, è che devi stare al passo con i tempi, e con le nuove scoperte.

Se non ti informi rischi di rimanere indietro, e, se ti va male, rischi anche di fare dei danni, grossi.

Pensate a cosa succederebbe se un falegname dei giorni nostri continuasse a lavorare il legno con la vecchia pialla: otterrebbe un risultato inferiore, e perderebbe tanti soldi.

Con i bambini, a meno che non si parli di Pinocchio, la cosa è sicuramente diversa, ma non fidatevi sempre dell’intuito da mamme, perché sto scoprendo che le cose sono ben diverse da quello che sembrano.

Ho appena finito di leggere un bellissimo libro intitolato “Urlare non serve a nulla”, scritto da Daniele Novara.

Non avrei potuto non comprare un libro con un titolo del genere.

Trovatemi una mamma che non urla mai!

Trovatemi una mamma che appena finito di urlare non si faccia prendere dai sensi di colpa!

Beh! Io urlo spesso, e subito dopo vengo colta dai crampi di colpa, altro che sensi.

Ho letto quel libro tutto d’un fiato, e ci ho trovato un sacco di cose interessanti: intanto ho capito che davvero urlare non serve a nulla, e poi ho scoperto che anche le punizioni non servono a nulla.

Avete mai sentito parlare del cestino della rabbia?

Andiamo con ordine che l’è megl

1) URLARE

Sembra che le urla e le minacce punitive minino il senso di fiducia e contribuiscano a rafforzare, nei bambini, comportamenti  problematici.

Di solito non è il genitore violento che urla, ma, al contrario, il genitore che vorrebbe essere “morbido”.

Quando il figlio non fa quello che il genitore vorrebbe, allora ecco nascere un conflitto che, quasi sempre, sfocia nelle urla, a volte quasi senza accorgersene.

Il genitore che urla altro non fa che dimostrare la sua debolezza.

Invece di urlare sarebbe più utile chiarire bene quali sono le regole, e farle rispettare.

Ovviamente ho cercato di semplificare l’argomento come potevo, ma ovviamente non finisce qui.

Il libro ti offre delle alternative comportamentali da usare al posto delle urla, e vi assicuro che ci sto provando, e funziona.

Devo ammettere che già solo leggendo che il genitore che urla mostra al figlio la sua debolezza, qualcosa in me è cambiato: “Debole io?!?

Adesso glielo faccio vedere io a Danny che io non sono debole!”

Ed è stato a quel punto che ho iniziato a dirgli le cose a bassa voce, guardandolo seria seria e dritto dritto negli occhi, e lui ha capito.

2) LE PUNIZIONI

Quante volte avrò detto a Danny: “O fai i compiti o ti tolgo l’ipad per 2 giorni!” ???
Boh, avrò perso il conto.

E dopo averlo lasciato senza ipad per 2 giorni, secondo voi la volta dopo ha fatto i compiti senza fare storie? Ma quando mai!

Quando ti ritrovi con la pancia inizi a chiederti che tipo di mamma sarai, e, soprattutto, se sarai in grado di essere una buona mamma.

E allora la tua memoria va indietro, ti ricordi di cosa succedeva quando eri tu la figlia, e ti dici che forse basterà rifare quello che hanno fatto con te…

Ma ne sono passati di anni, e forse con gli anni anche qualche sbaglio.

Oggi privare un bambino dell’uso dei giochi elettronici per 48 ore non dovrebbe essere una punizione, ma un gesto educativo.

Oggi costringere un figlio ad apparecchiare la tavola perché ha preso una nota a scuola non dovrebbe essere una punzione, ma una cosa buona e giusta.

Se un bambino fa qualcosa di sbagliato forse vale più la pena rispiegargli le regole, per essere sicuro che le abbia capite bene.

Spesso noi genitori non siamo molto chiari, ed è normale che i bambini entrino in confusione.

Come quando li portiamo al parco e urliamo loro “Corri, ma non sudare!

Come si fa a correre senza sudare?!?!?

Se i nostri figli la mattina non vogliono vestirsi da soli perché si perdono nel loro armadio, invece di sgridarli, o metterli in punizione, provate a preparare assieme a loro i vestiti la sera, prima di andare a dormire, e la mattina fate una gara per vedere chi si veste prima!

E se qualcuno finisse lo stesso per arrabbiarsi?

3) CESTINO DELLA RABBIA

Ecco un’altra cosa molto intelligente che ho imparato leggendo il libro di cui vi parlavo prima.

Si prende la confezione di un panettone, un cestino, o una grande scatola, la si da al figlio e gli si chiede, innanzitutto, di personalizzarla con scritte, adesivi etc etc

E poi? E poi gli si spiega che quello, da oggi in poi, sarà il cestino della rabbia.

A volte, anche a scuola, succede qualcosa che fa arrabbiare i nostri figli, ma magari per vergogna, o per semplice dimenticanza, alla cosa non viene data la giusta importanza, e rimane lì, nei ricordi che non svaniscono.

Da oggi in poi in quel cestino finiranno tutte le cose che li fanno arrabbiare!

Un compagno li ha presi in giro perché durante la lezione di coro, secondo qualcuno, lui non cantava abbastanza forte?!

Lo scriviamo su un foglietto, accartocciamo il foglietto e lo buttiamo nel cestino.

C’è un gioco che non ci riesce mai e ci fa arrabbiare? E anche il gioco finisce nel cestino.

E il cestino rimane lì, senza essere svuotato, per dare modo ai bambini di recuperare quello che un giorno non li farà più arrabbiare.

Bello questo libro!

Bello scoprire che anche nel mestiere della mamma c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare.

Adesso la mia domanda è: secondo voi il cestino della rabbia potrebbe funzionare anche per noi grandi?

E, se la risposta è “sì”, sapete dirmi dove posso trovare un cestino abbastanza grande da poter contenere mio marito?!

Ahahahahahahahhahahahahha

Besos

Barbara

 

“Mi piace”? Non mi piace

 

Anche a me piace facebook.

Anche io spesso sono su facebook.

Facebook può essere un aiuto in certi momenti di solitudine, e di insicurezza.

Facebook può essere di aiuto quando si ha bisogno di consigli ed informazioni.

Ma da lì a far diventare facebook il termometro della nostra vita, e delle nostre relazioni personali, questo nooooooooo daiii!

Sono stata una delle ultime a diventare attiva su facebook: c’ero già da un paio di anni, ma non ci andavo mai, poi un giorno mio figlio ha preso la varicella, poi l’influenza, e il danno è stato fatto.

Due settimane forzatamente chiusa in casa mi hanno fatto da trampolino per facebook, e mi ci sono tuffata di testa.

Ho anche rischiato di annegarci in facebook, ma per fortuna sono sopravvissuta.

Ci sono stati momenti in cui mi sono resa conto che facebook era diventata una presenza troppo forte nella mia quotidianità, e allora ho rallentato un pò…

Ora ci entro, pubblico qualche cosa, do un’occhiata veloce a cosa succede nel mondo, e poi torno alla mia vita.

Lo uso ancora, e mi diverte, ma  facebook non è la mia vita.

Ma per qualcuno facebook è diventata una cosa seria, troppo seria!

Conosco gente che pensa che pubblicare certe immagini, o certi video, possa servire a cambiare il mondo, e invece non capiscono che parlare di violenza, e pubblicare violenza non porta mai a niente di buono.

Conosco gente che mi ha scritto in privato per chiedermi perché non clicco mai “mi piace” sotto quello che pubblicano.

Conosco gente che mi ha scritto chiedendomi come mai tra i miei amici ci fosse quella tale persona.

No, ma dico…state scherzando o fate sul serio?

Per me facebook è come una grande palco dove ogni tanto qualcuno sale e parla.

Tutti possono salire un attimo su quel palco, ma non è detto che sotto quel palco in quel momento ci sia qualcuno pronto ad ascoltare, e ad approvare.

Se ti va di dire la tua dilla, ma non ti aspettare nulla.

A volte la gente ha altro da fare, o di meglio da ascoltare.

Magari quello che dici piace a tutti, ma nel momento in cui sei salito sul palco, la gente era impegnata a fare altro, e non ti ha ascoltato.

Ovvio che anche a me fa piacere se la gente clicca “mi piace” sotto le mille cavolate che pubblico.

Io pubblico principalmente per fare sorridere,  e per suggerire…

Per me un “mi piace” equivale ad un sorriso, e io ho sempre amato far sorridere la persone.

Io pubblico ciò che mi fa stare bene e che mi rende felice, per ricordare a tutti che la vita è bella, nonostante tutto.

Io pubblico per ricordare a tutti di guardare anche quello che va, e non so quello che non va.

Sarei un’ ippocrita dicendo che non sono contenta quando alla gente piace quello che pubblico, ma giuro, e ripeto “Giuro”, che non ci sono mai rimasta male se un amico o un’ amica non hanno dimostrato pubblicamente la loro approvazione.

Ma chi se ne importa di un “mi piace” in più, o di un “mi piace” in meno e soprattutto, di chi lo clicca.

Io lo so quello che pensano di me i miei veri amici, nel bene e nel male, e del resto poco mi importa.

Forse facebook dovrebbe cambiare in “contatti”, quelli che ora chiama “amici”, per ricordare a tutti che i veri amici sono altrove, e che è di loro che dovrebbero occuparsi di più…

Invece di dare così importanza al quel “mi piace” in più, prendete il vostro cellulare e fate una chiamata, in più!

Secondo facebook io, in questo momento,  avrei 2540 “amici”.

Peccato che i miei veri “amici” si contino sulle dita di al massimo due mani.

Ma vale davvero così tanto un “mi piace”?

Chiediamoci il perché di questo grande bisogno di conferme, dall’esterno, e da chi, forse, non abbiamo neanche mai visto dal vivo.

Anche se “a me mi” non si dice…

A me “mi piace” quando suona il cellulare e vedo il nome di qualcuno che non sento da tanto.

A me “mi piace” quando mio marito torna a casa e apprezza quello che gli ho preparato per cena.

A me “mi piace” quando mio figlio mi guarda e mi sorride, senza motivo.

A me “mi piace” quando va bene un appuntamento di lavoro.

Diamo un giusto peso alle cose e alle persone.

Diamo un giusto peso alle vere emozioni e alle vere delusioni.

Non vi sto dicendo queste cose da mestrina, ma da alunna che ci è passata, e che pian piano ne sta uscendo.

Non me ne è mai importato nulla dei “mi piace” di facebook, ma l’approvazione delle persone a me care era diventata per me troppo importante.

Sin da piccoli iniziamo cercando l’approvazione della nostra mamma, e del nostro papà, arrivando poi a  quella degli amici.

Ma ricordatevi una cosa: l’approvazione più importante è la vostra.

“Mi piaccio” conta molto di più di uno stupido “mi piace”.

“Mi piaccio” è l’unica cosa che conta davvero, il resto è superfluo, è un di più che fa bene, ma non basta.

Quello che gli altri pensano di te è di sicuro importante, e il fatto di piacere fa sicuramente bene, ma la vera felicità va cercata dentro di noi, e non intorno a noi.

E se non siete felici? Pensate a cosa vi manca per esserlo, e mettetevi al lavoro.

Non è piangendosi addosso, o contando sull’approvazione degli altri, che si ottiene qualcosa.

A volte, per capire, bisogna imparare a fermarsi un attimo.

Io l’ho appena fatto, e sto già molto meglio.

Besos

Barbara

 

 

La mia prima corsa e la sua prima partita: c’è sempre una “prima volta”

 

È stata una 48 ore ricca di prime volte: io ieri ho fatto la mia prima corsetta e oggi il mio cucciolo è andato a vedere la sua prima partita, allo stadio, col suo papi!

Per mio figlio che ha 7 anni è normale che quasi ogni giorni ci sia una prima volta, ma per me che di anni ne ho ho 45…

Nella vita secondo me ci dovrebbe essere sempre una “prima volta”, da quando emettiamo il primo vagito, a quando esaliamo l’ultimo respiro.

Tragica? No! Realistica, curiosa e speranzosa.

Che vita sarebbe senza una “prima volta”, ogni tanto?!

Ve la ricordate la prima volta che avete baciato qualcuno sulla bocca? Qualcuno che non fosse un vostro parente stretto?

Io sì: ero a Ponza ed ero giovane, molto giovane.

Forse avevo 8 anni, non ricordo, ma ricordo lui, quel ragazzetto romano con i capelli un po’ lunghi che piaceva a tutte, ma che quella sera, tra una partita di ping pong e l’altra, ad un certo punto ha deciso di sfiorare me, con le sue labbra…

E “quella” prima volta ve la ricordate?!
Io sì: che paura!

Ma la prima volta che ricordo con più allegria è stata quella del primo bacio con la lingua: continuavo a chiedere alle amiche più esperte se la lingua andava girata in senso orario o antiorario.

Effettivamente, ripensandoci, sono sempre stata una precisina, troppo precisina, ahahahahah!

E quella volta che uscì con un ragazzo più grande di me e per la prima volta un maschio mi toccò il seno?

Il giorno dopo, in spiaggia, mentre mi infilavo il reggiseno del costume, mia mamma mi chiese se l’amico con cui ero uscita la sera prima mi aveva toccato il seno.

Io diventai rossa e urlai subito “no!”, e lei, ridendo,  mi disse di non mentire, perché si vedeva.

A quel punto diventai ancora più rossa e, d’istinto, mi coprì i due seni velocemente, con le mie mani.

Che tonta!

Mia mamma iniziò a ridere per prima, e io la seguì a ruota, capendo che da qual momento in poi, a mia mamma, avrei potuto raccontare tutto, senza temere sgridate o giudizi scontati ed affrettati, come spesso fanno alcuni genitori quando si dimenticano di essere stati giovani, anche loro.

La prima volta fa sempre brutti scherzi.

La prima volta emoziona; la prima volta stordisce; la prima volta delude; la prima volta fa venire voglia di farlo un’altra volta, fa venire voglia di fare una giravolta, di guardare in su, di guardare in giù, e di dare un bacio a chi vuoi tu, ahahaha!

Chissà cosa avrà provato oggi il mio cucciolo entrando in quel grande stadio che io conosco bene: io lavoravo al Milan, e per anni ho tifato Milan, ma lui ha deciso di tifare Inter, come il suo papà, e come tanti suoi amici.

Delusa?

Ma chisseneeeeeeeee

Io non tifo più per nessuno!

Al Milan, delle persone a cui volevo bene, non è rimasto più nessuno, e a me del calcio non me n’è mai importato molto.

Certo è che mi farà un po’ strano quando, per la gioia di mio figlio, mi ritroverò a sperare che la sua squadra del cuore vinca, ops!

Oggi Danny, e alcuni suoi compagni di classe, sono andati a vedere Inter-Genova, con i loro papà.

Quelle sì che sono le prime volte che non si dimenticano, specialmente quando si vince, e tutti ti dicono che è stato anche un po’ merito tuo, che hai portato fortuna.

Prima di Natale Danny aveva avuto occasione di vedere i suoi idoli dell’Inter dal vivo, in giacca a cravatta, e oggi li ha visti di nuovo dal vivo, ma in mutande, mentre correvano dietro a quel magico pallone che tante emozioni sa regalare.

Correre…

Anche io ieri finalmente ho corso, ma non in mutande.

Mi sono fatta convincere da un caro amico che ormai corre da un po’, e ho provato a correre anche io, per la prima volta.

Anche Mario, come me, non aveva mai corso, poi un giorno si è fatto male, e per tornare a giocare a calcio gli fu ordinato di iniziare a correre.

Fu così che iniziò a correre per forza, e che ben presto inziò a correre per amore, per passione.

A me piace molto camminare, velocemente, ma era da anni che non correvo.

Anzi, forse, non ho mai corso, se non durante l’ora di ginnastica, alle medie e al liceo.

Da giovane (ieri) mi faceva male la milza se correvo troppo, e da grande (ora) ho due protrusioni, e un bravo medico, quando lavoravo al Milan, mi aveva detto che per me sarebbe stato meglio non correre, e quindi io ho felicemente obbedito.

Ma durante le ultime vacanze di Natale…

Durante le ultime vacanze di Natale ero in Puglia, nella nostra nuova casa di campagna (che affittiamo, sappiatelo!), e durante una delle mie lunghe camminate, un giorno ho provato ad accelerare, e ho pian pianino iniziato a correre.

Con la musica che mi accompagnava passo dopo passo,  in quell’incredibile paesaggio fatto di stretti tratturi ed imponenti trulli, è stato facile correre senza sentire la fatica.

Ho corso davvero poco, ma mi è piaciuto, e mi sono detta che ci avrei riprovato, con calma.

Correre mi fa un po’ paura, perché a volte tra il rinforzare un muscolo, e il farsi male, la differenza diventa davvero minima.

Se corro devo tenere ben contratti gli addominali, e non è sempre facile.

Ieri ho corso, e ce l’ho fatta.

Ieri ho superato una mia paura: ieri ho corso per circa 2 km.

Se in questo momento siete state leggendo seduti sul comodo divano di casa vostra, sappiate che quel divano non ve lo ruberà nessuno anche se, qualche volta, lo lascerete da solo.

Abbandonate i vostri divani, fate un piccolo sforzo, e uscite.

Uscite a camminare, uscite a correre.

Fatelo con i vostri figli, con i vostri amici, con i vostri cani.

E se c’è qualcosa che non avete mai fatto, e che avreste voglia di provare a fare, fatelo, per la prima volta.

Cambiate strada e fate quella strada nuova, per la prima volta.

Andate a fare la spesa, comprate quella verdura che non avete mai comprato prima e cucinatela, per la prima volta.

Ci sono tante cose che non avreste mai pensato di poter provare, ma ora è giunto il momento di provarne alcune, per la prima volta.

Un nuovo sport, un nuovo hobby, una nuova destinazione, un nuovo ristorante, un nuovo sapore, un nuovo amore…

Provate qualcosa di nuovo per la prima volta, e magari scoprirete che non sarà l’ultima.

Baci

Barbara

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Dal pantalone elaticizzato al digiuno: ecco come sono uscita dalla modalità #campagnola!

 

Ci ho messo un paio di giorni, ma ci sono riuscita: sono uscita dalla modalità #campagnola e sono rientrata nei miei panni cittadini, ops!

Già sono una che si trucca poco, e che alle gonne e ai tacchi preferisce jeans e scarpe da ginnastica, ma quando vado in Puglia, nella nostra casa di campagna, tocco veramente il fondo.

Ho sempre avuto un grande spirito di adattamento e quindi quando parto ci penso sempre molto bene a cosa mettere in valigia.

Quando vado in vacanza entro in modalità “Zingara chic”, e a volte faccio anche a meno dello “chic”.

Sono sempre stata un po’ selvaggia, e quindi appena posso torno alle origini.

Se parto per Formentera, o se vado in Africa, dove ho conosciuto mio marito, di certo in valigia non metto abiti da sera e tacchi, ma solo gonne lunghe, qualche comodo vestitino, costumi, parei e qualche sandalo basso.

Quando vado in Puglia idem, e se ci vado in inverno, come quest’ultima volta, mi porto 4 paia di pantaloni, tenuta e scarpe da ginnastica (per fare le mie amate camminate), magliette a maniche lunghe e caldi pullover.

So a cosa state pensando: “Povero marito!!!

Guardate che io non ho mai mentito, e non mi sono mai venduta per quello che non sono!

Quando ci siamo conosciuti, in discoteca a Zanzibar, le sue amiche con cui era in vacanza avevano i tacchi, ma io indossavo le mie comode infradito di cuoio, sotto un’ampia gonna da zingara.

Io i tacchi li tempero, mica li indosso!

E non penso che mio marito sperasse che, una volta indossata la fede, mi sarei trasformata in una donna tutta gonne e tacchi, ahahahahah!

Quando vado in campagna non porto trucchi, se non la cipria e il mascara, che però alla fine ho usato giusto a capodanno, e la manicure e la pedicure me li scordo fino al rientro in città.

La vera fregatura è che quando andiamo in Puglia mio marito, che è l’unico in famiglia che lavora seriamente, arriva sempre dopo di noi e riparte prima, e quindi l’apertura e la chiusura della casa, che non è proprio una passeggiata, specialmente in estate, spetta a me, e a Danny boy, che mi aiuta come può.

Partire per la campagna con lo smalto rosso sui piedi e sulle mani sarebbe davvero una perdita di tempo: in campagna le mani si usano parecchio, e i piedi spesso stanno dentro gli stivali di gomma, assai comodi per camminare tra piante e terra rossa.

E vogliamo parlare dell’acqua della cisterna?

Da noi non arriva l’acquedotto, e quindi abbiamo dovuto costruire una cisterna dove ci mettiamo l’acqua che ci porta il camion o l’acqua piovana, quando piove.

Il problema è che quell’acqua è bella “pesante” e quindi i capelli vellutati, fino a che sei in campagna, te li scordi!!!

Ma posso dirvi una cosa? Chissene importa dei capelli setosi.

Io amo la campagna, amo sporcarmi le mani, e amo vestirmi da maschiacchio, per essere comoda.

Amo stendere la ghiaia sulle stradine, e amo condividere tutti i lavori che posso con mio figlio, e con mio marito, quando c’è.

La campagna unisce.

La campagna spesso è faticosa:  parti con dei bei libri da leggere, ma poi ti rendi conto che di tempo per leggere ce n’è ben poco, e se hai del tempo libero magari preferisci una mini pennica.

La sera vai a letto stanca, e spesso con il mal di schiena, ma vai a letto felice.

Chissene importa dei trucchi e dello smalto sulle unghie.

Per quelli c’è sempre tempo, ma le albe e i tramonti che ho visto a casa nostra in Puglia sono riusciti a togliermi il fiato.

Si litiga in campagna, si litiga di brutto, ma gli abbracci, dopo le litigate, sono i più forti di tutti.

Un vicino ti bussa e ti porta le noci, e i giardiniere, anche se quest’anno le tue olive erano troppo acide per  essere tirate giù e per farci l’olio, ti fa la sorpresa e ti porta 10 litri di olio ricavati da un altro terreno.

Quando vado in Puglia stacco la spina, e passo le giornate tra la ferramenta di Cisternino e il mercato di Ostuni.

Quando la casa sarà completamente finita forse riuscirò a riposare un po’ di più, ma per ora mi sta bene così e, quando sono giù, mi sento più viva che mai.

Stanca, ma viva.

Il giorno della befana avevamo il volo per tornare a Milano.

All’aereoporto di Bari ci hanno accompagnati una mia amica di Foggia e suo figlio, che sono stati ospiti da noi un paio di giorni, quando papà è dovuto tornare a Milano a lavorare.

Quando siamo scesi dalla macchina, e siamo entrati all’aereoporto, per me è stato un piccolo shock: ma quanta gente, quanta luce, quanto rumore.

In campagna ho imparato a riapprezzare il silenzio.

In campagna ho imparato che il televisore spesso è più utile da spento.

Sono davvero felice di aver deciso di investire in Puglia e di costruire questa casa, e nonostante io di solito sia molto gelosa delle mie cose, sono anche molto felice di aver deciso di costruire una casa da affittare.

Eh sì, perché le cose belle vanno condivise e l’idea che qualcuno dormirà nella nostra casa, vivrà le emozioni che viviamo noi, vedrà i colori che vediamo noi e sentirà i profumi e i sapori che ci accompagnano tutte le volte che scendiamo in campagna, mi piace assai.

La mattina della nostra partenza sono andata nella lavanderia nella contrada vicino a noi a portare lenzuola e asciugamani da lavare.

Ormai lo sapete bene che io non sono nata casalinga e che non morirò casalinga.

Mentre tornavo dalla lavanderia, e percorrevo quel bellissimo tratturo in mezzo ai trulli, ho pianto.

Mio figlio era a casa con la mia amica e suo figlio, e io ero da sola, in mezzo agli ulivi, libera di sfogare le mie emozioni.

Per me è sempre molto difficile ripartire da lì, ed è ancora più difficile quando ritorno a casa e ritrovo LEI, la bilancia

Questa volta ero partita con le migliori intenzioni, e la prima settimana sono stata anche brava, limitandomi con il cibo, e andando a fare le mie lunghe e veloci camminate, un giorno sì e un giorno no.

Ma poi…

Ma poi in Puglia è arrivata la neve, e a casa nostra più di 40 cm di neve ci hanno impedito di uscire per giorni!!!

Addio camminate e benvenuti carboidrati.

Mio marito, che si è scoperto grande panificatore (termine assai più fashion di “panettiere”), ha svaligiato il mulino di Cisternino e si è divertito a fare pane ai 5 cereali, pane integrale, pizza e brioche.

Povera me che mi sono illusa che il pane fatto in casa, con il lievito madre fatto dalle manine sante del mio amore, non facesse ingrassare come il pane del panificio!

E poi mai partire per le vacanze di Natale con in valigia solo pantaloni elasticizzati, senza avere neanche uno straccio di bilancia sul posto!

Non pensavo di essere ingrassata così tanto, quindi immaginate la mia faccia quando a Milano sono salita sulla mia bilancia è ho visto apparire la scritta “80,4”

Aiutoooo!

In quel momento ho sentito una forte nausea, e ho capito che avevo bisogno di disintossicarmi, subito!

Ho aperto l’armadio, ho tirato fuori le mie buste di proteine, sali minerali e vitamine, e ho riempito la mia prima bottiglietta.

Sono a digiuno da due giorni, ho perso quasi 3 kg e mi sento più forte che mai.

Ieri ho fatto acqua gym, e oggi indor walking.

Ieri sera mi sono lavata i capelli e ho fatto un super mega impacco di crema, e stamattina ho fatto manicure e pedicure (in casa!).

Mi guardo allo specchio e inizio a piacermi di nuovo, e mi sento bene.

In campagna mi guardavo allo specchio solo quando mi lavavo il viso, e i denti.

In campagna non mi interessano gli specchi, ma la forza del mio corpo, che spesso metto un po’ troppo alla prova.

Mi ci è voluta una seduta di shiaztsu e un massaggio di un’ora per farmi passare il mal di schiena. Sto diventando anziana, ma la saggezza è ancora un concetto a me sconosciuto, e quindi speso sollevo pesi che non dovrei, e poi ne pago le conseguenze, ops.

Sono ufficialmente uscita dalla modalità #campagnola, ma una lieve malinconia mi avvolge il cuore.

Stamattina ero in giro in scooter, e ad un semaforo mi hanno suonato perché non sono partita nel centesimo di secondo in cui il semaforo è diventato verde.

Mi è sempre piaciuto correre.

Mi è sempre piaciuta l’energia che si respira nelle grandi città, ma i tempi cambiano, e ora andrei di corsa in aereoporto, e salirei sul primo aereo diretto al sud.

Ma siccome mio figlio è scuola e alle 16.30 devo andare a prenderlo per portarlo dal dentista…

Ora torno coi piedi per terra, mi faccio passare il magone, sorrido e faccio un paio di telefonate: anno nuovo, vita nuova!

E poi domani si vedrà…

Besos

Barbara

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