Oggi parliamo di Spritz, ma di quello vero

Un paio di settimane fa sono andata al Chioschetto alle Zattere (a Venezia) e ho raggiunto un paio di amici per l’aperitivo.
Appena arrivata ho notato sul tavolo 3 invitanti bicchieroni pieni di apparente vino bianco e ghiaccio.
Non so se per me, che non amo l’alcol, fosse più invitante il vino o il ghiaccio, ma alla fine ho chiesto ai miei amici cosa stessero bevendo e Giuseppe, per gli amici Jason, mi hanno risposto “Spritz”.
“Ma come Spritz? Lo Spritz è arancione!”
Ed ecco che all’improvviso mi sono ritrovata 6 occhi tutti puntati su di me.
Ops, mi sa che ne avevo detta un’altra delle mie.
sprtizbiancoaitavolifoto“Lo Spritz è bianco Barbara, il vero spritz è sempre stato bianco. Quello che ora va tanto di moda e che ormai bevono in tutta Italia, è uno spritz macchiato.”
Ah benon, questa mi mancava, e sono anche Veneziana, che vergogna!
Ovviamente mi sono fatta raccontare la storia dello spritz e non contenta, quando sono tornata a casa, mi sono anche documentata su internet.
Cavolo, non mi avevano fatto uno scherzo, era tutto vero!
Per conoscere le probabili origini dello Spritz bisogna fare un lungo salto indietro fino all’800, ai tempi in cui nel Veneto c’era la dominazione Austriaca.
I soldati, ma anche i vari commercianti, diplomatici e lavoratori dell’impero Asburgico, presero presto l’abitudine di frequentare le nostre piccole osterie disseminate in tutto il Triveneto.
Il problema è che questi erano abituati ai loro vini a bassa gradazione e struttura e quindi la complessità e la grande varietà dei vini veneti per loro era difficile da mandar giù (in tutti i sensi).
Iniziarono a chiedere agli osti locali di spruzzare un po’ di acqua all’interno dei vini (spritzen, in tedesco) per renderli più leggeri.
Lo Spritz originale era rigorosamente composto da vino bianco frizzante, o da vino rosso, diluiti con acqua fresca.
Ho poi scoperto, parlando con qualche nonno, che al bancone del bar si chiedeva uno Spritz quando si voleva vino ed acqua, o uno Spritz macchiato se si voleva una piccola correzione di Bitter.
Quando nei primi anni del 1900 iniziarono a diffondersi i sifoni per l’Acqua di Seltz (un’acqua molto gassata) che arrivava dalla città di Selters, una località tedesca da cui proviene un’acqua minerale ricca di anidride carbonica, diventò possibile rendere frizzante anche uno Spritz fatto con vino fermo.
Questa evoluzione avvicinò allo Spritz nuove tipologie di clientela, come le nobildonne austriache, che potevano finalmente permettersi una bevanda leggera come grado alcolico, ma con un tocco di glamour per come veniva preparata.
Quello è stato solo uno dei primi tocchi creativi che ha portato lo Spritz alle ricette attuali.
Oggi infatti si trovano diversi tipi di Spritz: a Trieste e Udine lo si serve ancora “liscio”, in Veneto è rigorosamente a base di Prosecco mixato a Bitter Campari o Aperol, a Venezia lo si trova assieme al Select, a Padova talvolta con il Cynar, in Trentino si serve assieme al Ferrari ed in Alto Adige si serve secondo la tradizione austriaca “liscio”, ma quando è corretto con Bitter o altro lo si chiama Veneziano.
L’origine della parola Spritz è quindi di origine Austriaca, ma l’abitudine di mescolare al vino un po’ d’acqua per renderla una bevanda leggera ed estiva è un’usanza tipicamente nostra già da molto prima dell’arrivo degli austriaci in Veneto.
C’è chi fa risalire quest’usanza al medioevo, chi all’epoca romana, chi addirittura la fa iniziare con la nascita del vino nelle popolazioni paleovenete.
Una storia molto interessante da raccontare riguarda l’Arsenale di Venezia.
La Serenissima aveva particolare cura dei suoi operai navali, gli arsenalotti: a loro era riservato un trattamento economico di favore, garanzie di sostentamento in caso di malattia, erano nominati guardiani nelle sedute del Maggior Consiglio all’interno della Loggetta progettata per loro da Sansovino ed erano i vogatori del Bucintoro (la barca di rappresentanza dei Dogi) nelle manifestazioni ufficiali.
A loro inoltre era riservato un trattamento speciale quotidiano che oggi possiamo definire “merenda”.
A metà pomeriggio vi era per loro una piccola pausa in cui venivano serviti pane e vino rosso per ritemprare gli operai dalle fatiche del lavoro, mentre con la calura dei mesi estivi il tutto era sostituito da gallette ed una bevanda a base di vino allungata con un po’ d’acqua fresca di pozzo.
Una sorta di Spritz, servito però 500 anni prima dell’avvento degli austriaci nel nostro territorio.
Quindi da oggi in poi chiedete uno “spritz macchiato” e se il barista vi guarda strano, raccontategli questa storia.
Barbara
PS: dimenticavo! Tra le varie tipologie di Spritz ho da poco introdotto il “Junior Spritz” per il mio Danny boy ossia crodino, acqua gassata o seltz e una spruzzatina di limone
Spritz "macchiato"

Spritz “macchiato”

Danny Boy con il suo "Junior spritz" e un crostino con baccalà mantecato.

Danny Boy con il suo “Junior Spritz” e un crostino con baccalà mantecato.

Il mio primo vero spritz

Il mio primo vero Spritz

Sacco vuoto sacco pieno, frigo vuoto frigo pieno

 
Ditemi che da piccoli non avete mai giocato a “sacco vuoto sacco pieno”?!
Un grande diceva “Sacco pieno” e tu bambino dovevi stare dritto in piedi
Un grande diceva “Sacco vuoto” e tu dovevi piegarti
E poi lo stesso grande iniziava il vero gioco: “Sacco pieno, sacco vuoto, sacco pieno, sacco pieno, sacco vuoto, sacco pieno , sacco pieno, sacco pieno, sacco vuoto, sacco pieno, sacco vuoto”
E tu su, giù, su, su, giù, su… e diventavi matto, e sudavi, e ridevi.
Non so perchè, ma quando sono tornata da Venezia con Danny e ho trovato il frigo vuoto, ho ripensato a quel vecchio gioco e mi sono messa a ridere, da sola.
E’ pazzesco, ma i mariti quando ci siamo noi in casa vogliono il latte X, i cornflakes Y, la frutta Z etc etc, ma quando sono da soli e noi siamo via per un pò di giorni, allora sono capaci di vivere anche mangiando solo scatolette, senza mai aprire il frigo.
E allora ecco che quando torni trovi 3 mele ammaccate, il latte scaduto e i cornflakes finiti, ma non ricomprati.
D’ altronde è così comodo fare la colazione al bar e gli aperitivi lunghi e rinforzati.
E la domanda sorge spontanea: ” Ma non è che noi donne, mamme, mogli, fidanzate e amanti ce la meniamo un pò troppo per accontentarli quando a questi basterebbe molto, ma molto meno?”
Verrebbe spontaneo obiettare visto che comunque questi chiedono sempre e in continuazione.
Solo che ora io ho capito perché: loro a chiedere ci provano sempre e noi ci caschiamo perché sotto sotto anche la donna più stronza fuori alla fine è geisha dentro.
Eh dai suuu ammettiamolo!
A noi donne ci piace attraversare la città in motorino con 40 gradi all’ombra per andare a comprare le briosc preferite del nostro amato o dei nostri amati (se vogliamo mettere di mezzo pure i figli).
A noi donne ci piace cucinare un bel polpettone di quelli buoni da mangiare anche freddi così per un paio di giorni loro sono a posto e possono stare lontano dalle scatolette.
A noi donne ci piace ricomprare la frutta fresca anche se sappiamo già che faranno marcire pure quella.
A noi donne piace renderli felici.
A noi donne piace riempire loro il frigo prima di ripartire lasciandoli di nuovo soli in città mentre noi portiamo la prole al mare.
Saranno i sensi di colpa?
Ma quali sensi di colpa: non so se starà meglio lui di giorno in ufficio con l’aria condizionata e la sera libero come un fringuello o io di giorno in spiaggia a fare castelli di sabbia con 40 gradi e zero vento e la sera svenuta a letto prima della fine del primo tempo del film delle 21.
La verità è che noi donne siamo state mandate sulla terra per occuparci di loro e per farli felici, è la nostra missione.
Ora vado a far partire l’ultima lavatrice e poi volo al mare, in treno.
Barbara Wonderwoman 
Frigo pronto per una settimana da "single"

Frigo riempito per il mio maritino e la sua settimana da “single”

 

Sapori di Puglia in Buenosaires

 
Ieri sembravo una trottola.
Avete presente quando siete gia in vacanza e ad un certo punto dovete tornare in citta per paio di giorni e in 48 ore vi ritrovate a fare tutto quello che normalmente fate in una settimana?
Spesa, cucinare, un salto alla Vodafone (quei “salti” lunghi alla Powell) , un salto alla Wind, mani, piedi, capelli (almeno un impacco anti paglia), un appuntamento di lavoro, il dentista, il commercialista, la banca…
Aiuto, altro che post-it per ricordarsi tutto, qui ci vorrebbe un clone! 
E poi che caldo, ma che caldo, ma quanto caldo.
E un pò come facevano Gaspare e Zuzzurro quando partivano da una parola per arrivarne a un’altra, mentre pensavo al caldo ho pensato alla voglia di fare un bagno, mentre pensavo alla voglia di fare un bagno pensavo ad una spiaggia, mentre pensavo ad una spiaggia pensavo alla Puglia, mentre pensavo alla Puglia pensavo alla voglia dei sapori della Puglia e mentre pensavo ai sapori dlela Puglia…mi sono apparse loro,  le bombette! 
Bombette, bombette, bombette!
Sarà stata la barretta ingurgitata in motorino perchè non avevo tempo di pranzare, sarà stata la voglia di mare, ma io DOVEVO avere delle bombette!
Che voglia pazza di bombette, ma ero a Milano e a Milano non ci sono le macellerie di Cisternino.
Ed ecco che facebook è arrivato in mio aiuto: all’improvviso mi sono ricordata che la mia amica Sara, quando avevo scritto la ricetta per fare le bombette, aveva postato la foto di questa macelleria di Milano che vende le bombette e visto che ero in zona…
Giorgio Pellegrini è di Milano, ma sua moglie è di Bisceglie quindi una pugliese doc.
La “Macelleria Pellegrini” è sempre stata famosa per la sua carne di cavallo che, guardacaso, si consuma molto in Puglia quindi sono tanti i loro clienti pugliesi ormai trapiantati a Milano.
Era tempo che sia sua moglie che i suoi clienti, gli suggerivano di fare come le famose macellerie di Cisternino e quindi di cucinare sul posto la carne, ma non si poteva.
Il menù di un giovedì e il forno per cucinare in diretta in macelleria
Il menù di un giovedì e il forno per cucinare in diretta in macelleria
4 anni fa, però, il Comune di Milano ha dato ok per la somministrazione non assistita ossia senza il servizio al tavolo.  
Visto che loro di tavoli non ne hanno (se non quello in cucina dove infatti organizzano a porte chiuse poche, ma fantastiche cene per 8/10 persone) hanno iniziato a fare il pranzo in piedi tutti i giovedì.
9/11 euro a testa per un piatto di carne a scelta, più verdure, focaccia, pane, acqua , un mezzo bicchiere di vino, frutta , dolce e la loro simpatia, che vi assicuro che non è poca cosa.
Bravi, davvero bravi.
Per merito vostro ora so dove trovare le mie amate bombette e qualcosa mi dice che non mi fermerò alle bombette che ieri mi hanno preparato al momento.
So già che presto tornerò da loro per provare anche la loro mitica carne frollata nel sale e la tartare di cavallo che mi guardava da dietro al vetro del loro lungo bancone.
Se poi mi ci metteranno sopra anche l’uovo fritto che mi hanno fatto vedere ieri in una foto…allora mi avranno conquistata, per sempre.
Barbara
Le mitiche bombette della Macelleria Pellegrini
Le mitiche bombette della Macelleria Pellegrini
Giorgio Pellegrini e Blogger Barbs davanti al frigo della carne frollata con il sale

Giorgio Pellegrini e blogger Barbs, davanti al frigo della carne frollata con il sale

Ma bastaaa

Meno di un mese fa ho scritto un post lamentandomi della giustizia in Italia e quando ho pubblicato il link del post su facebook mi è stato fatto notare che aormai da edanni in Italia ci sia un senso diffuso di una giustizia “ingiusta” e che questo non fa bene a nessuno.
Bene! Sono pronta ad essere di nuovo criticata perchè purtroppo oggi devo ripetermi.
Ho la netta sensazione che non ci sia più nessuno in grado di difendere e tutelare chi subisce e oggi sono più incazzata che mai (sorry, ma ogni tanto ci vuole!)
Premetto che tutti i tipi di violenza sono inammissibili e vanno puniti, ma la violenza sulle donne e sui bambini è secondo me il peggio del peggio.
Le donne e i bambini hanno ovviamente meno possibilità di difendersi e quindi fare del male a loro è davvero un gesto ignobile e da codardi e come tale andrebbe punito e invece…
E invece ecco che la corte costituzionale torna ad occuparsi dell’articolo 275 del codice di procedura penale che riguarda che misure cautelari e i criteri di applicazione e lo fa in relazione ad uno dei più brutti reati che degli esseri umani possano commettere: la violenza sessuale di gruppo!
La corte scrive “la più intensa lesione del bene della libertà sessuale non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata” e quindi il giudice può decidere di applicare altre misure diverse dal carcere.
Sarò ignorante, sarò all’antica, sarò una persona pessima e cattiva, ma io certi uomini li metterei in galera e gli taglierei pure il pisello.
E questi invece mi vengono a dire che non li mettono neanche dentro!?
Ma chi prende queste decisioni ha delle figlie femmine?
Cosa farebbero se qualcuno toccasse le loro figlie contro la loro volontà?
E se invece di toccarle facessero altro?
E se non fosse solo uno a farlo, ma un gruppetto di quattro ragazzi?
Perchè è proprio per un caso del genere che è scoppiato il delirio.
Il giudice aveva deciso per la prigione per uno dei 4 e per i domiciliari per gli altri 3, ma la Cassazione aveva annullato con rinvio l’ordinanza del Riesame, ritenendo illogica la motivazione relativa all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti di uno degli indagati (e meno male).
Peccato che investito nuovamente delle questione, il giudice del Riesame ha riconfermato il tutto e si è rivolto alla Consulta che, con la sentenza 232 depositata un paio di giorni fa, ha bocciato l’art. 275 del codice di procedura penale perchè in relazione alla violenza sessuale di gruppo prevede la custodia cautelare in carcere e «non fa salva l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
Io non ho davvero più parole per commentare.
Facendo così stanno sminuendo uno dei reati più indegni che esista.
Continuando così non fanno altro che trasmettere a certa gente che possono fare quello che vogliono perchè tanto non verranno puniti.
Girate pure ubriachi al volante!
Investite pure qualcuno che se ne va tranquillamente in giro sulla sua bici e scappate!
Chiamate gli amici e fatevi aiutare a vendicare l’ultima litigata con la vostra donna!
Ma sì, tanto siamo in Italia.
Ma bastaaa!
Sarebbe davvero giunto il momento di dire STOP a questo schifo.
Barbara

Quando i complimenti valgono di più delle punizioni

 
Quando si è in vacanza con i nostri figli le giornate sembrano più lunghe, molto più lunghe.
A volte si vivono momenti così diversi da loro che quando la sera si ripensa a quello che è successo nell’arco della giornata…sembra che dall’inizio di quell’altalena di emozioni sia trascorsa una settimana e non poco più di 12 ore.
Lui che si sveglia prima di te e ti tira giù dal letto? E via col primo giramento di maroni
La colazione pronta e lui che dopo la terza chiamata non arriva? E via col secondo giramento di maroni e con la prima urlata della giornata.
Lui che arriva in spiaggia e si insabbia prima ancora che tu possa spalmargli la crema protettiva? E risuona nell’etere la prima “righiata” di specie umana femminile.
Lui che anche se tu non ne puoi più di stare in acqua ed inizi ad avere freddo, non ne vuol sapere di uscire dal mare e di parcheggiare quella cavolo di tavoletta da surf almeno per la durata di un pranzo veloce? Ed ecco che scatta la seconda urlata della giornata.
Lui che non vuole più fare la sua prima lezione di tennis perchè dice che a tennis non ci sa giocare? E allora cerchi di spiegargli che è proprio per quello che si prendono le lezionioni e poi lo guardi e ti viene voglia di chiedergli se oggi ce l’ha con te o se è proprio strunz e basta, ma stai zitta e mandi giù.
tennisfotoPoi inizia la lezione, lo vedi che, tra un colpo a vuoto e l’altro, colpisce le sue prime palle, senti Federico, il maestro, che gli fa i complimenti quando lui colpisce, vedi che dopo quegli elogi lui si impegna, sempre di più.
Vedi che sorride felice e a quel punto capisci…
I bambini, specialmente negli anni della prima infanzia, vivono molto intensamente la relazione con i propri genitori e hanno un forte bisogno di sentirsi apprezzati ed amati.
Ecco perché dovremmo imparare a punire meno ed elogiare di più.
Tempo fa leggevo di un dibattito, aperto dal Wall Street Journal, in cui si diceva che più si elogiano i figli e più aumentano i comportamenti “buoni”.
Si diceva che gli elogi devono essere accompagnati anche da gesti fisici, come l’abbraccio, per stabilire o rinsaldare il rapporto tra genitori e figli.
In quel dibattito qualcuno sosteneva che le punizioni rendono aggressivi.
Sembra infatti che uno studio fatto su ragazzi con comportamenti violenti e conflittuali abbia rivelato che questi ragazzi da piccoli avevano spesso ricevuto sculacciate.
Gli stessi che sostenevano ciò, sostenevano anche che cercare di fare ragionare i ragazzi spiegando solo verbalmente le cose servisse poco come poco servono gli adulti sui pacchetti di sigarette.
Si sosteneva quindi che le punizioni servono, ma che non debbano essere né corporali né legate a divieti come non guardare la televisione o non giocare con il computer.
La punzione deve essere una cosa educativa che non deve mortificare, ma deve aiutare a crescere.
Se per esempio il bambino fa i capricci perchè non vuole mai aiutare in cucina, allora vada per un bel corso di cucina che appassioni il bambino.
Spesso certi capricci fatti e certi “no” detti, derivano da una speranza del bambino di potersi affrancare e crescere e quindi il dovere di noi genitori forse è proprio quello di cercare di capire cosa i nostri figli ci stanno chiedendo con il loro atteggiamento di sfida.
Quindi ok ai castighi, ma che siano intelligenti.
So bene che la reazione più spontanea a certi comportamenti e a certi capricci sono le sgridate, le urla e le eterne spiegazioni.
Sono mamma anche io e vi assicuro che mi arrabbio spesso e che quando succede a volte mi sentono anche i vicini, ma putroppo a volte insistere sui danni e sulle colpe suscita l’aumento della rabbia e dell’opposizione dei nostri figli.
Oggi ho avuto l’ennesima conferma che è molto meglio approvare i comportamenti corretti che stare sempre lì a criticare quelli sbagliati.
I notri figli hanno bisogno delle nostre approvazioni e dei nostri complimenti.
Non dico di non sgridarli più, per carità, ma magari ricordiamoci un pò più spesso di far notare loro anche quando sono stati bravi e facciamolo con dei begli abbracci.
Barbara

P.S.: è stata davvero un’emozione vederlo tirare le sue prime palline nello stesso campo in cui presi anche io e mie prime lezioni di tennis più di 30 anni fa…

Un bel bagno dopo la prima lezione di tennis

Un bel bagno dopo la prima lezione di tennis

 

Tanti abbracci utili e importanti

Tanti abbracci utili e importanti

 

Piccoli sconci scorci di dialetto veneziano: post vietato ai minori di 18 anni.

 
Quando da ragazzino vai in vacanza in un posto dove la lingua parlata non è proprio la tua, quali sono le prime cose che si imparano?
Le parolacce.
E infatti mio marito, che in confronto a me è un ragazzino, le prime cose che ha imparato quando si è fidanzato con me sono state le parolacce o meglio, alcuni modi di dire simpatici, ma un pò pesantini, che hanno i veneziani.
Il bello è che il mio maritino spesso si diverte ad esercitarsi quando siamo in vaporetto.
Pericoloso, molto pericoloso.
Certe cose gliele ho insegnate io che del dialetto veneziano so ben poco quindi si sente lontano un miglio che mio marito non è del posto e di conseguenza il suo modo di parlare sa da presa in giro.
Ocio!
Un paio di giorni fa cercavo su internet il vero significato di uno dei nostri “delicati” modi di dire e mi  sono imbattuta in un sito fantastico che spiega tutto per benino.
Se siete di quelli che si scandalizzano allora lasciate stare e cambiate blog, subito.
Se invece avete voglia di farvi due risate continuate pure a leggere
Alcune frasi e alcune varianti ho preferito non pubblicarle e vi lascio immaginare il perché…
Chei cani dei to morti: modo di dire, molto comune, che sta a significare letteralmente: i tuoi parenti, quelli morti, sono dei cani. Probabilmente deriva anche da un cane raffigurato in certe lapidi turche, ma qui la faccenda si ingarbuglia…
Variante: “I to morti” (semplice) , “Varemengo ti ta morti” (composto) , “Chei becanassi de tuti i to morti” (in questo caso i parenti sono stati traditi, in vita, dalla propria moglie)
Ghe/te sboro : gettare il proprio sperma contro qualcuno (NB della BLOGGER: lo so che è pesante, ma è una delle più famose e non me la sono sentita di cancellarla!).
Frase comunissima detta per avvalorare le proprie tesi.
Spesso questa frasetta “carina e leggera” viene addirittura usata nelle frasi per intercalare al posto del “cioè” italiano. 
Varianti: “Che ghe sboro” , “sboro mi” , “che ghe sbiro”(NB della BLOGGER: quest’ultima è la versione soft che usavo spesso da sbarbata).
Ma ti se sbregà: letteralmente: “sei rotto?” come per dire che c’è qualcosa in te che non funziona.
Date cò un legno: darsi le botte in testa da soli con un pezzo di legno. Frase tra quelle più recenti che viene utilizzata per dire a qualcuno di mettere la testa a posto.
Buso de cueo: apprezzamento verso una bella ragazza.
Buso de cueo 2 : avere fortuna.
S-ciopà : letteralmente scoppiato. Si dice di solito ad un alcolizzato, un drogato o ad una persona che sembra esserlo.
Imatonìo : persona che assomiglia ad un mattone e quindi che dimostra di essere scemo e duro di comprendonio.
Casso : persona un pò imbranata. “Casso” messo come termine di una frase ne è un rafforzativo.
Es: temperateitacchi.com sì che è un blog divertente “casso”.
Col casso : figurarsi, scherzi?, No di certo! 
Goldòn: preservativo. Dare del Goldòn a qualcuno significa associarlo al preservativo. La parola Goldòn deriva dalla pubblicità delle confezioni di profilattici importati dagli americani nel dopoguerra che diceva “Gold-one!”.
Ma ti gà e moròidi in testa? : domandare ad una persona se sulla sua testa ha delle emorroidi significa dare praticamente della “faccia da culo”.
Muso da mona: faccia da vagina: classicissima espressione veneziana (e non solo veneziana) per riferirsi a qualcuno, additandolo come uno stupido.
Ciapar cassi per attaccapanni: più che parolaccia, è un modo di dire che sta a significare “prendere un abbaglio”. Letteralmente “confondere i peni con appendiabiti” (che non farebbe lo stesso effetto in italiano).
Bene, adesso se volete venire a farvi un paio di giorni in questa splendida città, imparate un paio delle frasette qui sopra, magari di quelle più soft.
In certi posti dove si va a fare l’aperitivo, se ti scambiano per veneziano ti fanno lo sconto.
Ahahah
Barbara 

 

Galateo on the beach

 
Perdindirindina, ma è proprio così difficile rispettare un paio di regole semplici e direi anche parecchio intuitive?!
Non credo serva chiamarsi Albert (quello famoso faceva “Einstein” di cognome) per capire che certe cose sarebbe meglio non farle, azz.
Sono con Danny boy a Venezia da mia mamma e quindi ci capita di andare in spiaggia.
Abbiamo la fortuna  di poter usufruire di una capanna, della nonna e delle sue amiche, che si trova in una spiaggia direi bellina e ben frequentata eppure anche lì si vedono e si sentono cose che non si vorrebbero vedere e sentire.
Ok, sono una rompiballe cosmica di quelle della peggior razza ossia di quella delle “precisine senza scampo”, ma certe cose nooo daiii!
Tagliamo la testa al toro e partiamo subito subito con una lista facile facile e veloce veloce (si capisce che trovo le che le ripetizioni rafforzino i concetti più dei superlativi?!).
Se questo elenco dovesse toccarvi nel profondo, allora vorrà dire che potete ancora migliorare (mettiamola così).
1) FUMO: se proprio vi viene voglia di fumare in spiaggia, fatelo pure, ma lontano dagli altri.
Anche se siete all’aperto, il fumo può dar fastidio a chi vi sta vicino, specialmente se si tratta di bambini o se il fumo è quello di un sigaro.
Ed evitate di lasciare i mozziconi nella sabbia: basta una bottiglietta vuota oppure li spegnete e poi li buttate dove cavolo volete.
2) SPAZZATURA: ciò che siete voi a produrre sarete voi a dover portare via.
A meno che non siate così fortunati da avere una filippina così fissa, ma così fissa che possa seguirvi anche in spiaggia, nessuno passerà a raccogliere le bottigliette vuote o le altre cose che avrete lasciato nel pezzo di sabbia dove avrete trascorso il vostro tempo libero.
3) PULIZIE CORPORALI: capisco benissimo che i granelli di sabbia nelle parti intime possano dar fastidio perchè vi assicuro che capita anche a me di ritrovarmi interi secchi di sabbia nel costume, ma vi consiglio di guardarvi attorno e di assicurarvi che nessuno vi stia osservando, prima di iniziare le profonde pulizie con mano a cucchiaino, non è chic.
4) CAMBIO COSTUME: i bambini posso farlo anche all’aria aperta, ma i grandi sarebbe meglio lo facessero in capanna.
Ho visto donne uscire dalla capanna senza il reggiseno per poter sfoggiare le loro tette nuove prima di doverle ricoprire.
Ma non sarebbe meglio scegliere una spiaggia dove il topless sia cosa e buona giusta? 
E poi se volete proprio rifarvi il seno, fatelo quando il resto del corpo possa sembrare ancora lo stesso di cui fanno parte anche le tette in questione.
Due meloni rigidi sopra un piatto di burata…stonano.
5) VOLUMI: se il bambino è in acqua ed è pronto il pranzo o è il momento di interrompere quel lungo bagno, non mi sembra utile ed educato comunicarlo a tutta la spiaggia urlando come se qualche inutile squadra di seria A avesse vinto lo scudetto: “LUCAAAAAAAAAA VUOI USCIRE DALL’ACQUA E VENIRE IN CAPANNA A MANGIARE LA TUA INSALATA DI RISOOOOOOO”.
Se Luca è ancora in acqua e le sue mani sembrano quelle della sua bisnonna non ce ne po’ fregà de meno e se oggi sei stata una mamma così brava che ti sei svegliata alle 5 e gli hai fatto anche una bella insalata di riso anni ’80, è un problema tuo.
Alza quelle chiappe e avvicinati a tuo figlio invece di fare la mamma dall’ugola d’oro.
Io oggi, per esempio, non ho preparato un tubo da mangiare.
Quando Danny dovrà uscire dall’acqua lo capirà da un mio semplice cenno della mano e se avrà fame andremo al bar e mangeremo un panino, tiè.
6) ABBIGLIAMENTO: caro maschio italiano, lo so che il boxer non è il massimo per l’abbronzatura e che lo slip sarebbe molto meglio, ma fattene una ragione: si nun c’hai er fisico, lascia stare.
Cara donna italiana, so che ormai in commercio ci sono dei costumi pazzeschi tutti tempestati di brillanti che ti mettono di buon umore solo a guardarli, ma prima di comprarli vedi di provarli e di guardarti allo specchio assieme a loro, indossandoli.
Se non avete il fisico di Elle Macpherson, tenete a freno la fantasia e andate sul classico che non si sbaglia mai.
7) PROTEZIONE: è possibile che ci sia ancora gente che si ostini a non volere usare la crema protettiva perchè pensa che con quella non ci si abbronzi?
Con la crema protettiva la sera la pelle non scotta e la mattina dopo ci si sveglia più abbronzati del giorno prima, ma senza strane chiazze, bolle o eritemi.
Il colore che otterrete durerà molto più a lungo e non recherete danni esagerati alla vostra pelle.
Ma non vi sentite ridicoli a girare con quelle facce viola e con quelle schiene in fiamme?
E poi se non vi piace il segno del costume, evitate di girare con spalline abbassate e lembi di carne che fuoriescono da ogni angolo, ma compratevi dei bei costumi a fascia che ormai ce ne sono a bizzeffe.
Per finire ecco un paio di cosucce che personalmente mi urtano parecchio se indossate dagli uomini:
a) Infradito di gomma: concesse al massimo per andare a fare la doccia.
b) Cerchietto o fascia nei capelli: mi disturba meno una fronte abbronzata col segno del ciuffo.
c) Moto d’acqua: se fai casino, se acceleri e se fai numeri da circo vicino alla riva, non si allunga il pisello a te, ma spacchi i maroni agli altri.
Buone vacanze.
Barbara

E Redentore fu.

 
La Festa del Redentore è l’evento che ricorda la costruzione della Chiesa del Redentore per la liberazione della città dalla peste del 1575 -1577.
In soli due anni morì di più di un terzo della popolazione della città.
Alla fine della pestilenza, nel luglio del 1577, si decise di festeggiare, tutti gli anni, la liberazione della peste allestendo un ponte votivo per consentire ai fedeli di arrivare a piedi alla Chiesa del Redentore.
Ma se vogliamo proprio dirla tutta, più che per i motivi religiosi, la festa del Redentore la conoscono tutti per il super spettacolo di fuochi di artificio che si tiene tutti gli anni il terzo sabato di luglio.
Lo specchio d’acqua davanti a Piazza San Marco diventa un vero e proprio tappeto di barche che iniziano a prendere posizione già dalle prime ore del pomeriggio.
Quando eravamo più giovani (l’altro ieri) tutti gli anni si affittavano dei barconi (quelli che normalmente si usano per il trasporto della frutta o di altre merci in generale) e si andava in bacino di San Marco ad aspettare i fuochi.
In attesa si beveva e si mangiava (ognuno portava qualcosa) e si ascoltava la musica del proprio barcone o dell’impianto del barcone accanto.
Poi gli anni passano e tutto quello che prima suonava “figo” ha iniziato a suonare “scomodo e un pò noioso”.
Aspettare 6/7 ore?
Prima era figo perchè si ingannava l’attesa mangiando, bevendo tanto, ballando etc etc e poi 6/7 ore sono iniziate a diventare un pò tante.
Non avere il bagno per fare pipì?
Prima era figo perchè ci si organizzava nei modi più disparati e a nessuno importava di quello che vedessero o pensassero gli altri, e poi ha iniziato a diventare solo una rottura.
Negli ultimi anni mio marito ed io i fuochi li abbiamo visti da casa.
Ok , magari i fuochi bassi non si vedevamo perchè erano nascosti dai palazzi davanti, ma la comodità di vedersi i fuochi belli comodi, vicino ad un bagno, alla poltrona e al frigo, cancellava il resto.
Ieri però…ieri ci tenevo tanto ad andare proprio davanti a San Marco: volevo fare vedere i fuochi a nostro figlio dalla barca, per la prima volta.
Negli ultimi 2 anni lo abbiamo svegliato pochi minuti prima dei fuochi e li ha guardati con noi, da casa, ma ora che ha 5 anni e mezzo e che facendo tardi al concerto di Jovanotti, mi ha dimostrato di essere diventato un ometto, volevo fargli godere il vero spettacolo nella giusta location.
Era un paio di giorni che cercavo la soluzione ottimale, magari in barca con altri amici con bambini in modo che aspettando i fuochi, i ragasssssi potessero giocare tra di loro.
Ed ecco che ieri arriva l’sms di Tilli “Ok, si esce in barca e abbiamo tre posti per voi”.
Che gioia! 
Avete presente quando vi sembra che il cuore batta un pò più forte e vi sentite stupidi perché sapete che sta succedendo per una cosa piccola piccola?!
aspettando1fotoEcco.
Anche se per me sapere di poter vedere i fuochi in barca con i miei amici e con i miei uomini, non era una cosa piccola.
Ieri mattina siamo andati in spiaggia, abbiamo fatto una ventina di bagni e poi con Capitan Francesca e la sua barca, siamo tornati a Venezia passando per il bacino di San Marco dove già molte barche stavano prendendo posto ben 6 ore prima dei fuochi.
Un emozionante passaggio sotto al Ponte dei Sospiri e siamo scesi dietro la Piazza perché Francesca doveva caricare a bordo cibo e bevande per la serata. Ad attenderla all’Hotel Angelo, con tante cose buone, c’era infatti il mitico Renato.
A quel punto siamo scesi e tornando verso casa per una doccia veloce, siamo passati a comprare baccalà mantecato, crostini e un paio di altre cosuccie per la serata.
Alle 20 siamo usciti di casa e abbiamo fatto una passeggiata fino al ponte votivo, lo abbiamo attraversato arrivando alla Chiesa del Redentore e lì Capitan Daniele e sua moglie Tilli ci hanno caricati a bordo.
Et voilà: dopo un fantastico e tattico posizionamento in super pole position, niente popò di meno che davanti alle zattere da dove sarebbero partiti i fuochi, è iniziata l’attesa per quella splendida ed emozionante esplosione di colori.
Ottimi tramezzini, calde mozzarelle in carrozza, bianco con e senza bollicine, playstation, dvd portatile, chiacchiere, ricordi dei vecchi tempi, attimi e colori da immortalare: tutto era valido per ingannare il tempo ed arrivare all’ora X.
I bambini, felici ed eccitati, saltavano da una parte all’altra delle barche (eravamo 4 barche unite) entrando ed uscendo da piccoli oblò.
E alle 23.30, puntualissimi, eccoli finalmente ad illuminare il cielo davanti e sopra di noi.
Una vera esplosione di botti e di sfumature, di colori, di forme e di effetti speciali.
Tutti a bocca aperta con il mento all’insù.
Nessuna delusione, ma tanta gioia.
Più di mezz’ora di fuochi bellissimi e quegli ultimi 5 minuti di pura follia che il nostro Danny si è perso perchè tanta allegria e tanta emozione lo hanno fatto crollare secco a prua, sulle mie ginocchia.
Con l’aiuto di quei due tappi per le orecchie arancioni, Morfeo lo ha rapito ai fuochi e lo ha portato nel mondo dei sogni, un mondo che forse per una notte sembrava un p0′ la realtà.
Grazie amici, ieri ci avete regalato un sogno, anche a noi che eravamo svegli.
Barbara 
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Pane e salsiccia in versione chic!

 
Oggi vi do una ricettina povera, ma very chic.
Ovviamente non è proprio dietetica, ma è taaanto bbbona.
Siamo in stagione di grigliate e cosa succede mentre gli addetti alla griglia sono concentrati sulla carne?
Che gli ospiti che aspettano la carne hanno fame e allora di solito si fanno le bruschette con pane, aglio, olio e pomodori.
Bene, io oggi vi do una soluzione nuova, nuovissima, con cui farete u
Una cosina buona buona che potete fare, come ho fatto io ieri sera, anche senza la grigliata, ma come antipasto a tavola.
Pane e salsiccia in versione chic!
Iniziamo come sempre dalla LISTA DELLA SPESA che questa volta sarà facilissima:
un bel filone di pane (o 2, dipende da quanti siete)
salsiccia (quella che vi piace di più, basta che si possa facilmente spellare da cruda 
Se avete tutto INIZIAMO:
Prendete il vostro filone di pane e togliete tutta la mollica
Spelate le vostre salsicce e infilatele dentro il filone di pane pressandole bene.
Ecco 4 fette ancora da cuocere e 4 già cotte!

Ecco 4 fette ancora da cuocere e 4 già cotte!

A quel punto scaldate bene una padella antiaderente (se c’è qualcuno che griglia,  va benissimo la griglia), e tagliate il vostro

filone di pane a fettine di circa 2/3 cm.
Mettete le vostre fettine sulla padella (senza 0lio senza nulla tanto basta il grasso della salsiccia che impregnerà il pane) e cuocete fino a che vedrete il pane abbrustolito e la salsiccia cotta (se la padella è bella cada, bastano un paio di minuti per parte)
A quel punto dovete solo mettere le fettine sui piatti e, se non volete ustionarvi la lingua, aspettare un attimo prima di addentarle!
Ieri sera mio marito e mio figlio mi hanno fatto i complimenti!
Wow, per così poco…
Barbara
Pane e salsicca in versione chic. Olè

Pane e salsicca in versione chic. Olè

 

Turista per caso, con sorpresa, da Manet.

 
Ieri, nel primo pomeriggio, mia mamma sarebbe tornata a casa, a Venezia.
Era andata in Sardegna con mia suocera e il loro nipotino (il mio Danny boy) ed erano lì da ben 9 giorni.
Non ci vedevamo da circa 20 giorni e avevo voglia di rivederla quindi avevo deciso di non andare in spiaggia, ma di aspettarla a casa.
Mi sono svegliata con calma, ho fatto colazione, sono andata a fare la ceretta (oggi arrivano anche i miei maschi e non vorrei mai che mi scambiassero per una scimmia) e ho bevuto un caffè fresco shakerato con una mia amica, in Campo Santo Stefano.
Dopo il caffè ho guardato l’ora: erano le 12.
“Invece di tornarmene sola soletta a casa, cosa posso fare per un paio di ore a Venezia?”
“Faccio shopping?”
“No, devo risparmiare i soldi per la casa che stiamo costruendo in Puglia”
“E allora che faccio?”
E a quel punto mi è venuta l’idea: “Faccio la turista: faccio una bella passeggiata e me ne vado in giro per la mia città a scattare foto.”
Tutti di Manet: "Colazione sull'erba", "La pesca", "Il piffero", "La corsa dei tori" e "Il balcone".
di Manet: “Colazione sull’erba”,
“Il piffero”, “La pesca”,
“La corsa dei tori” e “Il balcone”.
Cammina cammina e sono arrivata in Piazza San Marco, ho alzato lo sguardo verso Palazzo Ducale e ho visto la scritta “Manet: ritorno a Venezia. In mostra fino al 18 agosto 2013”.
Bingo!
Ecco dove vado: a vedermi la mostra di Manet.
Facciamo subito outing così mi levo il pensiero e non ci penso più: per quanto riguarda l’arte, sono ignorante come una capra.
Ignoro nel senso che non so, ma sono capace di leggere ed imparare e quindi ieri, visto che avevo del bel tempo a disposizione, mi sono impegnata.
Sono un’esteta, mi piacciono le cose belle, ma non vado oltre alle nozioni base imparate a scuola (quelle che mi ricordo ancora).
Ho pagato il biglietto, ma prima di entrare alla mostra ci ho messo quasi mezz’ora.
Era da anni, tanti anni, che non entravo dentro Palazzo Ducale e mi sono persa, smarrita.
Smarrita nei pensieri, smarrita tra le ombre e i raggi di sole che illuminavano il cortile, le colonne, gli archi, le statue…
Che spettacolo.
Alla fine ho ritrovato me stessa e sono entrata.
Non sto qui a raccontarvi tutta la storia di Manet perché se la volete leggere basta che digitiate il suo nome su Google e fate prima.
Vi dirò solo quello che ha colpito me tra le tante cose che ho letto prima sulle pareti dell’appartamento del Doge, dove è stata allestita la mostra, e poi sulla guida che mi sono regalata.
Di questa mostra si è parlato tanto e per tanti motivi.
Innanzitutto è esposto “Olympia”, il dipinto mai uscito prima dalla Francia.
Sotto "La Venere di Urbino" del 1538 dipinta da Tiziano e sopra "Olympia" del 1863 dipinta da Edouard Manet
Sotto “La Venere di Urbino” del 1538 dipinta da Tiziano e sopra “Olympia” del 1863 dipinta da Edouard Manet
Quel dipinto che Manet ha fatto ispirandosi alla “Venere d’Urbino” di Tiziano, dopo averla prima copiata durante un suo soggiorno a Firenze.
I due dipinti hanno molto in comune, ma è il senso che è molto diverso.
Le cose che mi hanno colpito di più sono che nella “Venere d’Urbino” c’è un cane, simbolo delle fedeltà, mentre in “Olympia” c’è un gatto, simbolo del demonio (nella foto si vede male perché è nero ed è in basso a destra).
Nelle “Venere d’Urbino”, inoltre, la mano di lei si appoggia rilassata sulle parti intime, mentre in “Olympia” la mano è più aperta, ferma, quasi fosse uno sbarramento.
In “Olympia”, la sensualità è decisamente meno forte che nel dipinto che Tiziano dedicò alla giornata nuziale.
In “Olympia” lei non aspettava il futuro marito, ma forse un amante da cui voleva farsi desiderare, senza concedersi (questa l’ho pensata io, magari è una cavolata, ops!).
Per molto tempo la critica ha parlato della pittura spagnola come grande fonte di ispirazione di Manet, ma con questa mostra, per la prima volta, si capisce quanto invece sia stata forte l’influenza dell’arte antica Italiana sull’opera di questo grande artista che in Italia soggiornò numerose volte tra Firenze e la mia amata Venezia.
Tiziano, Raffaello, Andrea del Sarto e Tintoretto sono solo alcuni degli artisti a cui Manet si è ispirato.
Scandalizzò molto i suoi contemporanei per il fatto che attingeva un pò troppo spesso dai maestri del passato, ma se l’arte e la moda continuano ad esistere è proprio perché gli artisti di oggi guardano agli artisti di ieri appropiandosi delle loro idee e sviluppandole a loro modo no?!
Credo sia inevitabile, anche se forse Manet si è un pò troppo “allargato” e, visitando questa mostra, la cosa salta molto all’occhio.
Non dico che Manet non mi piaccia, ma di sicuro (ricordatevi che ho fatto outing e ho ammesso che sono ignorante) preferisco quelli che ci hanno messo più del loro.
Resta il fatto che la mostra è davvero bella e che vedere certi quadri dal vivo è davvero emozionante, toglie il fiato.
Manet è nato nel 1832 a Parigi in una ricca famiglia borghese ed è stato suo zio, portandolo al Louvre, a mettere in lui il seme dell’arte (l’ho sempre detto che gli zii sono indispensabili).
Manet non voleva studiare giurisprudenza come avrebbe voluto il padre (meno male che ogni tanto i figli si ribellano) e avrebbe preferito la scuola navale dove però non lo accettarono (meno male che non lo accettarono).
Fu così che iniziò la sua carriera artistica e che Eduard (ormai lo sento “amico”) posò le dita prima su un pianoforte e poi sui pennelli, gli stessi pennelli con cui ha creato le splendide opere che ho potuto ammirare ieri.
Ho continuato il mio giro leggendo i racconti dei suoi viaggi e dei suoi percorsi e ammirando tanti altri suoi dipinti, fino a che sono arrivata all’ultima sala, e lì mi sono bloccata.
“Cavolo, ma quella è la casa della famiglia di mia mamma?”
Canal Grande a Venezia

Canal Grande a Venezia

Ma è possibile che io sia così ignorante da non sapere che Manet, in uno dei suoi tre viaggi a Venezia, si è messo a dipingere un gondoliere che guarda caso, era proprio sotto alle finestre della casa dove vive ora mia mamma?!”.

Che grande sopresa, che enorme sopresa.
Erano in tanti davanti a me ad ammirare quel quadro e io avrei voluto urlare a tutti che in quella casa ci era nata (tranne me che sono nata in Scozia) e cresciuta tutta la mia famiglia.
Che emozione, non dimenticherò mai quell’ultima sala dedicata al mare e alla mia Venezia.
Sono uscita dalla mostra accecata dalla luce di quel quadro e sono rimasta ancora più accecata quando, dalla penombra dell’appartamento del Doge, mi sono ritrovata scaldata ed illuminata da un forte ed intenso sole.
Il cielo era azzurro e dopo neanche un’ora avrei rivisto la mia mamma.
Che giornata intensa e ricca di emozioni, ieri.
Barbara
Un "uomo nudo" mi aspettava fuori dalla mostra di Manet.

Un “uomo nudo” mi aspettava fuori dall’appartamento del Doge.

 
All'uscita della mostra, il caldo sole e il cielo azzurro sul cortile di Palazzo Ducale.

All’uscita della mostra, il caldo sole e il cielo azzurro incorniciavano il cortile di Palazzo Ducale.

Aspettando l'arrivo di mamma, dentro il quadro.

Aspettando l’arrivo di mamma, dentro il quadro.

 
Souvenir della mostra: panno per pulire gli occhiali con stampato il quadro che ovviamente mi ha colpita più di tutti.

Souvenir della mostra: panno per pulire gli occhiali con stampato il quadro che ovviamente mi ha colpita più di tutti.