Rapita da un’idropulitrice, e da una lettera speciale…

Ieri mattina mio marito ha portato nostro figlio da un suo amico dentista.

In brianza i dentisti lavorano anche di sabato, e visto che a Danny faceva male un dente, e che io non amo portarlo dal dentista, li ho lasciati andare, molto volentier i!

Cosa fa una mamma quando si ritrova da sola a casa, e fuori splende il sole?

Dal cestino della rabbia alle inutili punizioni, passando per un bell’urlo!

 

Se capovolgete la scritta mamma, in inglese, leggerete “wow”.

Eh sì, perché fare la mamma è davvero how!

Fare la mamma è emozionante!

Fare la mamma è gratificante!

Fare la mamma vuol dire avere la scusa per tornare bambini, e risalire sulle tue giostre preferite senza mai sentirsi troppo vecchie per farlo.

Fare la mamma vuol dire avere la certezza che finalmente qualcuno ti amerà per quello che sei, e per sempre.

Perché i figli ti amano anche quando li sgridi, anche quando li metti in punizione.

Fare la mamma è wow, ma fare la mamma è anche il mestiere più difficile del mondo!

Il problema di quando fai un mestiere complicato, come quello della mamma, è che devi stare al passo con i tempi, e con le nuove scoperte.

Se non ti informi rischi di rimanere indietro, e, se ti va male, rischi anche di fare dei danni, grossi.

Pensate a cosa succederebbe se un falegname dei giorni nostri continuasse a lavorare il legno con la vecchia pialla: otterrebbe un risultato inferiore, e perderebbe tanti soldi.

Con i bambini, a meno che non si parli di Pinocchio, la cosa è sicuramente diversa, ma non fidatevi sempre dell’intuito da mamme, perché sto scoprendo che le cose sono ben diverse da quello che sembrano.

Ho appena finito di leggere un bellissimo libro intitolato “Urlare non serve a nulla”, scritto da Daniele Novara.

Non avrei potuto non comprare un libro con un titolo del genere.

Trovatemi una mamma che non urla mai!

Trovatemi una mamma che appena finito di urlare non si faccia prendere dai sensi di colpa!

Beh! Io urlo spesso, e subito dopo vengo colta dai crampi di colpa, altro che sensi.

Ho letto quel libro tutto d’un fiato, e ci ho trovato un sacco di cose interessanti: intanto ho capito che davvero urlare non serve a nulla, e poi ho scoperto che anche le punizioni non servono a nulla.

Avete mai sentito parlare del cestino della rabbia?

Andiamo con ordine che l’è megl

1) URLARE

Sembra che le urla e le minacce punitive minino il senso di fiducia e contribuiscano a rafforzare, nei bambini, comportamenti  problematici.

Di solito non è il genitore violento che urla, ma, al contrario, il genitore che vorrebbe essere “morbido”.

Quando il figlio non fa quello che il genitore vorrebbe, allora ecco nascere un conflitto che, quasi sempre, sfocia nelle urla, a volte quasi senza accorgersene.

Il genitore che urla altro non fa che dimostrare la sua debolezza.

Invece di urlare sarebbe più utile chiarire bene quali sono le regole, e farle rispettare.

Ovviamente ho cercato di semplificare l’argomento come potevo, ma ovviamente non finisce qui.

Il libro ti offre delle alternative comportamentali da usare al posto delle urla, e vi assicuro che ci sto provando, e funziona.

Devo ammettere che già solo leggendo che il genitore che urla mostra al figlio la sua debolezza, qualcosa in me è cambiato: “Debole io?!?

Adesso glielo faccio vedere io a Danny che io non sono debole!”

Ed è stato a quel punto che ho iniziato a dirgli le cose a bassa voce, guardandolo seria seria e dritto dritto negli occhi, e lui ha capito.

2) LE PUNIZIONI

Quante volte avrò detto a Danny: “O fai i compiti o ti tolgo l’ipad per 2 giorni!” ???
Boh, avrò perso il conto.

E dopo averlo lasciato senza ipad per 2 giorni, secondo voi la volta dopo ha fatto i compiti senza fare storie? Ma quando mai!

Quando ti ritrovi con la pancia inizi a chiederti che tipo di mamma sarai, e, soprattutto, se sarai in grado di essere una buona mamma.

E allora la tua memoria va indietro, ti ricordi di cosa succedeva quando eri tu la figlia, e ti dici che forse basterà rifare quello che hanno fatto con te…

Ma ne sono passati di anni, e forse con gli anni anche qualche sbaglio.

Oggi privare un bambino dell’uso dei giochi elettronici per 48 ore non dovrebbe essere una punizione, ma un gesto educativo.

Oggi costringere un figlio ad apparecchiare la tavola perché ha preso una nota a scuola non dovrebbe essere una punzione, ma una cosa buona e giusta.

Se un bambino fa qualcosa di sbagliato forse vale più la pena rispiegargli le regole, per essere sicuro che le abbia capite bene.

Spesso noi genitori non siamo molto chiari, ed è normale che i bambini entrino in confusione.

Come quando li portiamo al parco e urliamo loro “Corri, ma non sudare!

Come si fa a correre senza sudare?!?!?

Se i nostri figli la mattina non vogliono vestirsi da soli perché si perdono nel loro armadio, invece di sgridarli, o metterli in punizione, provate a preparare assieme a loro i vestiti la sera, prima di andare a dormire, e la mattina fate una gara per vedere chi si veste prima!

E se qualcuno finisse lo stesso per arrabbiarsi?

3) CESTINO DELLA RABBIA

Ecco un’altra cosa molto intelligente che ho imparato leggendo il libro di cui vi parlavo prima.

Si prende la confezione di un panettone, un cestino, o una grande scatola, la si da al figlio e gli si chiede, innanzitutto, di personalizzarla con scritte, adesivi etc etc

E poi? E poi gli si spiega che quello, da oggi in poi, sarà il cestino della rabbia.

A volte, anche a scuola, succede qualcosa che fa arrabbiare i nostri figli, ma magari per vergogna, o per semplice dimenticanza, alla cosa non viene data la giusta importanza, e rimane lì, nei ricordi che non svaniscono.

Da oggi in poi in quel cestino finiranno tutte le cose che li fanno arrabbiare!

Un compagno li ha presi in giro perché durante la lezione di coro, secondo qualcuno, lui non cantava abbastanza forte?!

Lo scriviamo su un foglietto, accartocciamo il foglietto e lo buttiamo nel cestino.

C’è un gioco che non ci riesce mai e ci fa arrabbiare? E anche il gioco finisce nel cestino.

E il cestino rimane lì, senza essere svuotato, per dare modo ai bambini di recuperare quello che un giorno non li farà più arrabbiare.

Bello questo libro!

Bello scoprire che anche nel mestiere della mamma c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare.

Adesso la mia domanda è: secondo voi il cestino della rabbia potrebbe funzionare anche per noi grandi?

E, se la risposta è “sì”, sapete dirmi dove posso trovare un cestino abbastanza grande da poter contenere mio marito?!

Ahahahahahahahhahahahahha

Besos

Barbara

 

Bookcity e l’orgoglio della zia di Ugo

A Milano, dal 13 al 16 novembre, si è tenuto Bookcity una bella iniziativa  voluta dal comune di Milano e da un comitato promotore composto da nomi importanti dell’editoria.

Tre giorni dove la lettura e i lettori sono stati i grandi protagonisti.

Sono stati numerosi gli eventi e i laboratori dedicati a questa manifestazione, ma quello che mi ha toccato più da vicino è stato quello che si è tenuto alla Rotonda della Besana.

Dal 13 al 16 novembre la Rotonda della Besana ha infatti accolto gli elaborati e i lavori svolti dai bambini e dai ragazzi coinvolti nei progetti di Bookcity Scuole  (sagomati, disegni, fotografie, video, cartelloni e molto altro).

Danny, venerdì scorso, è stato alla Rotonda della Besana con le sue maestre e i suoi compagni, per l’inaugurazione, e non vedeva l’ora di portarci anche noi: il suo papà e la sua mamma.

Sabato c’è stata la sua festa di compleanno, e quindi abbiamo dovuto aspettare fino a ieri, domenica.

Che emozione!

Ho sempre amato la Rotonda dalla Besana e la amo ancora di più da quando Muba, il museo dei bambini, ci si è straferito dalla più lontana Triennale in Bovisa.

Non è da poco avere uno spazio così vicino a casa, e non è da poco entrarci e vedere esposto un lavoro così bello, fatto dai bambini di molte scuole di Milano.

Mi ricordo quando Danny, il mese scorso, e arrivato a casa con questo libricino piccolo, e vuoto, dicendo che era un lavoro per scuola, di cui non poteva dirmi molto.

Avevo giusto capito che avrebbe dovuto scriverci delle cose viste in giro per la città: cose che sembravano altro.

Non facile da interpretare, ma avevo capito che per lui era una cosa importante, e quindi l’avevo lasciato fare, senza indagare troppo.

E poi a noi genitori le sue speciali maestre hanno mandato una favola, LA favola della seconda E.

“Ugo va in città” è la storia di uno gnomo che vive in campagna, uno gnomo che però si annoia, e allora decide di partire per andare in città, dove non è mai stato, e dove spera di incontrare nuovi amici.

Ugo non ha mai visto le strisce pedonali, e le scambia per una strana zebra.

Ugo scambia un autobus per un bruco gigante, e il Duomo di Milano per panna montata…

Ad un certo punto Ugo incontra Max, un gatto randagio.

Max gli spiega tutto, lo porta ancora in giro per la città, e lo ha riaccompagna in campagna, nel suo albero di castagno.

Ugo ha un nuovo amico, ha visto un posto nuovo, e non ha più paura.

Alla Rotonda della Besana, assieme alla favola della scritta dal nostro Danny e dai suoi compagni della seconda E, c’erano tante altre favole, belle, ed emozionanti.

Ma Ugo mi ha colpito.

Ugo mi ha colpito, ovviamente, perché è anche frutto della fantasia del nostro cucciolo, ma anche, e sopratutto, perché io in Ugo mi ci riconosco un po’, specialmente in questa fase della mia vita.

All’inizio vedevo Ugo un po’ come il nipote che ancora non ho, ma poi ho capito che Ugo sono un po’ io.

Diventi mamma e la tua vita cambia.

Diventare mamma è un po’ come andare a vivere in campagna: resti in città, ma i tuoi ritmi cambiano, la tua vita prende un altra direzione, e molte persone finiscono con lo sparire.

Quando diventi mamma inizi ad aver paura di cose che neanche sapevi esistessero.

Poi un giorno ti svegli e ti viene voglia di tornare in centro, in città.

Ma ti accorgi che le cose sono cambiate, e che tu sei cambiata.

Ti rendi conto che quello di cui avevi bisogno prima ora non lo vuoi più, ma nello stesso tempo hai bisogno di nuovi stimoli, e di uscire dal quella routine in cui ormai navighi a vista, senza grandi scossoni, da anni.

Ecco! In questo momento della mia vita mi sento un po’ come Ugo.

Avrei voglia di partire in cerca di nuovi stimoli, di nuovi amici.

Ma poi il mio sguardo cade sulla foto di mio figlio che sorride accanto al suo disegno, e mi chiedo di cos’altro io possa aver bisogno, in questo momento.

Fare la mamma è il mestiere più duro del mondo, e neanche ti pagano.

Essere mamma a volte ti mette in uno stato di forte conflittualità, interna: una parte di te vorrebbe scappare indietro nel passato, per sentirsi di nuovo più leggera, e l’altra parte di te ti ricorda che il tempo va avanti, e che le difficoltà servono per crescere.

Ok amore mio, tengo duro, per te.

Tengo duro perché voglio continuare a crescere, e lo voglio fare accanto a te, orgogliosa di te e di quello che stai diventando.

Non sarò una mamma perfetta, e continuerò a perdere la pazienza, anche per cose senza importanza.

Non ti darò il fratellino che ogni tanto mi chiedi, perché non sono Heather Parisi, e non imparerò mai a fare il risotto come te lo fa la nonna.

Ma prometto che verrò a tutte le mostre che farai, a tutte le partite e a tutti i saggi di fine anno.

Prometto che sarò sempre orgogliosa di te e di quello che farai, e che quando sbaglierai ti aiuterò a rialzarti, nella speranza che quando sarai grande anche tu lo farai, con me, e per me.

Firmato

Mamma super orgogliosa

Barbara

ugomixfoto

Omertà? Può capitare se…

 

Lunedì, come tutte le mattine da quando è finita la scuola, ho portato Danny al campus.

Lunedì alle 14, per fortuna non come tutti i giorni, ho ricevuto una telefonata dalla responsabile del campus: ” Daniele accusa un forte dolore a sinistra sopra la pancia, e non se la sente di giocare. Forse è meglio se lo viene a prendere”

Non sono un’allarmista e neanche una di quelle mamme che porta il figlio al pronto soccorso appena ha la febbre.

Quando Danny ha avuto 40 di febbre, prima gli ho fatto un bagno caldo e gli ho abbassato la temperatura (da 40 a 37, i gradi dell’acqua della vasca), e poi gli ho dato una bella tachipirina.

Ma sabato Danny parte per 2 settimane con le nonne, e quindi?

E quindi dopo 5 minuti ero a scuola, e dopo 7 eravamo al pronto soccorso.

Un’ora e mezza di attesa per sentirmi dire che aveva avuto una colica da stipsi.

Colica da stipsi? Ma dirmi che aveva un tappo e che serviva una supposta di glicerina non era più facile?!

Vabbè, ormai lo sappiamo che a certi dottori (non a tutti) piace parlare complicato per spaventare le mamme.

Passato, e risolto, il falso allarme, ho deciso di portare Danny al parchetto sotto casa per fare un meritato giro in bici.

Eravamo al parco da una mezz’ora quando mi accorgo dell’arrivo di due macchine di carabinieri davanti ai due ingressi principali del parco, e vedo due moto dell’arma entrare dentro il parco, ai limiti delle aree giochi.

Ho cercato Danny con gli occhi e lo ho fatto subito venire vicino a me.

A quel punto uno dei carabinieri in moto era quasi al mio fianco.

“Scusi cosa sta succedendo?”

“Niente signora!”

Certo, certo! Arrivano due macchine dei carabinieri, e due moto entrano nel parco, ma non succede niente.

A quel punto insisto e il carabiniere mi chiede se ho visto in giro un signore strano.

Un signore strano?

Tutte le mattine mi alzo con un signore strano accanto a me nel letto (Ahahahahah! Questa mi è ventura proprio bene!) e durante il giorno ne vedo a bizzeffe di signori strani.

Intanto arrivano 5 ragazze che al carabiniere indicano un signore alto e un po’ stempiato seduto sul prato, sotto un albero.

“E’ lui!”, dicono indicando l’uomo.

Ve la faccio breve: il signore in questione si aggirava nel parco “Marcello Candia”, dietro l’Iperccop di Viale Umbria, a Milano, mostrando i suoi attributi (che molto volentieri amputerei con le mie sante manine di mamma incacchiata nera), a ragazzine e bambini.

Sì, sì, il signore ha mostrato il clone del suo cervello anche a 3 bambini di 6 anni, l’età di mio figlio.

Per fortuna una signora che ha sentito due bambini parlare tra di loro della cosa, ha chiesto spiegazioni e ha chiamato subito i Carabinieri.

Da quanto ho capito non sono stati i genitori dei diretti interessati a chiamare il 118, ma una donna che ha capito cosa era successo.

Il pedofilo in questione, perché le cose (è lui per me non è un uomo), vanno chiamate con le giuste parole, è stato subito fermato e, poco dopo, ammanettato.

Ma l’uomo in manette restava sotto quell’albero, e i carabinieri non lo portavano via.

Perché?

Perché avevano bisogno di una denuncia immediata da parte dei genitori dei piccoli (le adolescenti erano al parco senza genitori).

“Ma voi così state violando la privacy di quell’uomo, tenendolo lì davanti a tutti con le manette!”.

Ho cancellato la faccia della signora che ha detto questa frase idiota. Certe facce per me vanno dimenticate, che è meglio.

E intanto io mi chiedo “E quel pervertito? Che fine avrebbe fatto?”

Adesso magari lo portano in caserma, lo tengono dentro, e poi, come quell’atro pedofilo arrestato poco tempo fa al Parco Marinai di Italia, lo rimettono subito in libertà (perché mi sa che così è finita).

E noi mamme che facciamo? 

Io porto mio figlio in due parchi: uno sotto casa e uno davanti alla sua scuola, e adesso, in tutti e due, hanno trovato e arrestato un pedofilo.

Volevo fare una foto a quell’uomo!

Volevo fare una foto e farla girare su facebook, e via mail, a tutti.

Quell’uomo alla fine è stato arrestato, e portato via, ma so già che tornerà presto a fare l’idiota in giro per la nostra città.

“Signora io come carabiniere non posso autorizzarla a fare una foto, ma lei faccia il giro, si avvicini, e faccia quello che crede…”

Poi arriva un suo collega che sente il discorso e mi dice: “Signora noi dobbiamo difendere la privacy di quell’uomo, e lei non può fare la foto”

Voi dovete difendere la privacy di quell’uomo?!?! E i nostri figli chi li difende??!

E poi, come ciliegina sulla torta, arrivano due poliziotti in borghese a fare la ramanzina a noi adulti del parco:”Perchè voi dovete capire che noi siamo qui per aiutarvi, ma ultimamente c’è troppa omertà. La gente vede, ma non parla”

Ecco, è arrivato il genio!

Ma secondo te perché la gente ha paura di sporgere denuncia quando per farlo devono venire in caserma, riconoscere il peccatore davanti a voi, e soprattutto davanti a lui?

Forse perché sanno che dopo una settimana il peccatore torna in libertà e va a cercare loro o i loro figli?

Ma pensate che la gente si senta al sicuro in un paese dove Corona sta in galera e i pedofili e gli assassini stanno a casa loro?

Io non mi sento sicura per nulla, e mi dispiace tanto non essere riuscita a fare una bella foto a quel fetente.

Posso solo dirvi che era alto, stempiato e non italiano.

Barbara

L’omicidio di Motta Visconti: dove neanche l’immaginazione riesce ad arrivare

 

Ho cercato di immaginare di essere un uomo, e di essere molto arrabbiato.

Ho cercato di immaginare di essere molto impaurito.

Ho cercato di immaginare di essere stufo della mia famiglia.

Ho cercato di immaginare di aver voglia di cambiare vita, mettendo una pietra sul passato.

Ci ho provato davvero a calarmi nella parte del signor Lissi, ma la mia immaginazione non riesce neanche ad avvicinarsi ad un gesto così assurdo, così crudele.

Se mi arrabbio mi sfogo, e urlo.

Se sono impaurita chiedo aiuto.

Se non amo più e ho voglia di cambiare vita, ne parlo con chi amo e cerco di trovare una soluzione, di comune accordo.

E se nella mia vita sbuca qualcuno che mi fa battere il cuore più della donna alla quale ho giurato eterno amore?

Tiro fuori gli attributi, confesso e me ne vado.

In verità non lo so, non mi è mai capitato di innamorarmi di un altro, o di tradire, ma penso che se mi innamorassi lo direi e me ne andrei.

E i figli?

L’amore per un compagno o per una compagna può finire, ma quello per i figli no!!!

E quell’uomo ai poliziotti che gli hanno chiesto se non sarebbe potuto bastare un divorzio, lui ha risposto che con un divorzio i figli sarebbero rimasti.

Non capisco!

Non riesco davvero a capire.

Forse posso capire, ma ovviamente non giustificare, un gesto di follia nei confronti di una persona adulta, ma su un bimbo di 20 mesi e su una bambina di 5 anni , no.

Ovviamente questo uomo non sta bene.

Ovviamente questo uomo ha dei seri problemi psicologici.

Ti innamori di una collega che è fidanzata e che non ti ha mai dato speranze, inizi a sentirti stretto nel tuo ruolo di padre e di marito, e allora cosa fai?

Uccidi tutti.

Il problema è che conosco già la fine di questa storia: l’uomo finirà in galera, ci saranno mille processi, e alla fine questo uomo dalla galera tornerà a casa, perché non sta bene, poverino.

Poverino un tubo!

Malato di mente o no, questo uomo dovrebbe stare in galera tutta la vita, in una cella tappezzata con le foto di sua moglie e dei suoi bambini.

Quei bambini per i quali non ha versato una lacrima neanche dopo quei lunghi 30 minuti di confessione.

Eh no!

Non si può perdonare un gesto del genere.

Non si può.

E mentre scrivo una lacrima scende, e brucia, dentro.

Barbara

Vivere in città o vivere in campagna?

 

Non vedevo l’ora di finire il liceo per poter scappare nella “grande” metropoli con la scusa dell’università.

Sono nata in Scozia, ho fatto l’asilo a Roma, ma mi sono poi trasferita a Venezia, ed è lì che sono cresciuta senza macchine e senza smog, in una sorta di campana di vetro.

Venezia è perfetta per crescere i bambini: Venezia protegge loro, e fa sentire sicuri i genitori.

Ma io era troppo curiosa di vedere cosa ci fosse fuori da quella tranquilla città, e quindi, appena ho potuto, sono scappata.

MILANO

Avevo sognato per anni di trasferirmi in questa città.

A Milano ci lavorava mia zia Carla , ed io spesso il fine settimana prendevo il treno e andavo da lei in ufficio, in Via Dante.

La aiutavo a preparare le piantine delle grandi sfilate che organizzava, e facevo la hostess.

Amavo respirare l’aria della moda, delle passerelle, dei personaggi famosi e degli immensi stilisti (Ferrè era il mio preferito, ed era immenso in tutti i sensi!)

Ho preso tutto quello che Milano poteva darmi, o quasi (la droga l’ho sempre rifiutata!)

Ho vissuto gli anni d’oro, mi sono divertita, ho imparato tanto e ho cercato di mettere in pratica quello che ho potuto, e quello che era nelle mie corde.

Ma da quando sono diventata mamma

Se quando ero giovane mi stava stretta Venezia , ora che sono mamma (e non più di primo pelo, ops) inizia a starmi stretta Milano.

Questo week-end siamo andati a trovare degli amici in Svizzera.

Anche loro vivevano a Milano, e anche loro sono diventati genitori, poco dopo di noi.

Ma loro hanno fatto una scelta, dettata anche dal lavoro di lui, e si sono trasferiti in campagna, sul lago, a 13 minuti da Losanna.

“E’ stata dura per una come te abituata a vivere in città, venire a vivere in campagna?”

La domanda ce l’avevo sulla punta della lingua e ormai sapete che non sono una che si trattiene troppo.

La mia amica, un po’ argentina e un po’ venezuelana, a quel punto mi ha risposto che per abituarsi ci ha messo 1 anno e mezzo, ma che ora non tornerebbe più indietro.

Come non crederle? E poi loro vivono in campagna, ma sono a 13 minuti da Losanna e a 45 minuti dall’aereoporto di Ginevra: sconnessi, ma molto connessi.

E’ da quando hanno messo il primo mattone della casa che stiamo costruendo in Puglia che ci penso…

Ma se quella casa, invece della casa per le vacanze, e della casa da affittare, diventasse la NOSTRA casa, tutto l’anno?!

Ma a Cisternino non ci sono le scuole che ci sono a Losanna, e l’aereoporto più vicino è quello di Brindisi.

Andando a vivere lì saremmo di sicuro un bel po’ più “sconnessi” dei nostri amici “Svizzeri”.

Ma ci sto pensando, ci sto pensando davvero.

Ieri guardavo Danny aiutare il mio amico e suo figlio, nell’orto.

Ieri guardavo danny inseguire le lucertole.

Ieri guardavo Danny cercare con gli occhi le volpi, nel vigneto accanto alla casa dei nostri amici.

Ieri vedevo Danny felice, in mezzo alla natura.

L’ho abbracciato e gli ho chiesto se era felice.

Lo era, tanto.

“Ma se andassimo a vivere in Puglia, nella nuova casa che stiamo costruendo?”

Gli si sono illuminati gli occhi e mi ha ributtato le braccia al collo urlando “Sìììììììììì”.

Quando però gli ho raccontato che sarebbe andato in una nuova scuola, e che avrebbe avuto dei compagni nuovi, e delle maestre nuove, il suo enorme sorriso si è spento.

E poi papà ha il suo lavoro. Come farebbe a venire giù con noi? Lo vedremmo molto menooo

Che macello!

Che decisione difficile.

Ma la vita è una sola, e io non sono sicura di voler finire la mia a Milano, in mezzo allo smog.

E poi Milano non aiuta quelle ansiose e iperattive come me.

A Milano non mi fermo mai, né con le gambe né col pensiero.

A Milano sono sempre in movimento, e la sera crollo.

E per cosa poi?! Per fare sempre le solite cose.

Non ho costruito un granché in questa città.

Ho fatto tante cose belle e ho avuto tante soddisfazioni, ma non ho costruito nulla che mi leghi a questa città.

Non ho un’attività mia, non ho un ufficio mio e quello che ho imparato lo potrei mettere in pratica anche altrove.

Ho scoperto che mi piace scrivere e mi piacerebbe coltivare questa mia passione: mi ci vedo a scrivere seduta all’ombra di un ulivo secolare.

La vita mondana, le feste… ho dato! 

Adesso ho bisogno di altro.

Ho voglia di verde, ho bisogno di verde.

Inizio a sentire la necessità di un po’ più di silenzio, di quiete.

Ho vissuto molto intensamente, e non mi sono fatta mancare nulla, ma ora c’è LUI.

Non è facile per una mamma capire cosa sia meglio per un figlio.

Conosco un’altra mamma che ha mollato tutto e si è trasferita in Puglia con il suo bambino, e sono felici.

Caroline ora ha una masseria tutta sua, dove noi spesso siamo andati a dormire, ed è felice della scelta che ha fatto.

Danny è un bambino molto sensibile e molto affettuoso, come la sua mamma, e sono sicura che se un giorno dovessimo davvero trasferirci in Puglia, si farebbe un sacco di nuovi amici, e sarebbe felice, ma ora, il solo pensiero di portarlo via da qui, mi spaventa.

Ho sempre avuto paura dei cambiamenti.

Sono una iper abitudinaria io.

Ma ci penserò, eccome se ci penserò.

Non ho mai smesso di pensarci, da quel primo mattone posato sulla rossa terra pugliese.

Barbara

Il nostro week-end in Svizzera

Il nostro week-end in Svizzera

Riempite quella panchina

 
In questi giorni i parchi in città iniziano a pullulare.
Le mamme che hanno la fortuna di non avere un orario di ufficio troppo intenso, quelle che lavorano mezza giornata o quelle che, come me, lavorano da casa, vanno a prendere i bambini a scuola e li portano al parco.
Dopo ore seduti al loro banco, un paio di ore all’aria aperta se le meritano no?!
A volte si vede qualche nonna, o qualche zio, ma le mamme sono tante.
Mamme sdraiate sul prato con altre mamme.
Mamme in coda al carrello dei gelati.
Mamme che parlano al telefono, e con gli occhi seguono i loro bambini.
E panchine gremite di mamme con i loro bambini e mamme con altre mamme, impegnate nelle loro chiacchiere da panchina.
Poi vedi una panchina vuota, e il pensiero corre a loro, a quelle mamme che si sono viste togliere i loro figli.
Ieri mattina Danny è andato a scuola col papà, e io mi sono concessa il lusso di tornare a letto per guardare il tg delle 8 sotto il piumone (forse oggi metto la coperta, ma per ora mi godo ancora il piumone)
Dopo il tg c’era la trasmissione della Panicucci, e per curiosità mi sono fermata a guardare anche un pezzetto di quella.
In studio c’era ospite una mamma, una mamma disperata.
A quella mamma, e al suo compagno, hanno tolto una figlia perché non avevano i soldi per poterla mantenere.
I genitori avevano iscritto la figlia alla scuola primaria, ma in seconda elementare erano stati costretti a ritirarla.
A quel punto i servizi sociali sono arrivati a casa e, anche se la madre aveva promesso di riportare la figlia a scuola, o di mandarla a vivere dalla nonna materna, la bimba è stata portata via.
Non capisco perché dei genitori debbano ritirare una figlia dalla seconda elementare quando alla scuola pubblica i libri sono gratis e le diverse gite e attività extra scolastiche sono facoltative.
Solo la mensa è a pagamento, ma si può sempre prendere i figli prima di pranzo e riportarli dopo.
Resta il fatto che togliere una figlia ai loro genitori per problemi economici è una cosa per me inaccettabile.
I servizi sociali, in caso di indigenza, dovrebbero, per legge, averle l’obbligo di eliminare il problema dando un aiuto economico alla famiglia, e invece?
E invece portano via una figlia ai loro genitori, gliela lasciano vedere 1 ore e mezza a settimana per un anno, e poi trasferiscono la bambina e spariscono.
E non è finita qui: la corte d’appello ha dichiarato la bambina adottabile.
Quei genitori non vedono la loro figlia da un anno, e non sanno dove sia finita.
In Italia ci sono 1800 centri di accoglienza per minori, e il costo del mantenimento di un bambino in questi centri varia dai 70 ai 400 euro al giorno.
Adesso penserete che io sia pazza, ma un dubbio mi viene: non staranno mica speculando sulla pelle dei bambini?!
1800 centri mi sembrano davvero tanti, troppi.
Alla fine del 2011 erano 29.338 i minori in affido temporaneo, e il numero è in continuo aumento.
Si parla di un +24%
Ok che c’è la crisi e che molte famiglie sono in serie difficoltà, ma si può levare un bambino ai propri genitori perché non hanno i soldi per mantenerlo?
Sono state fatte diverse perizie sia sui genitori che sulla figlia, ma non sono risultate patologie a livello psicologico né sugli adulti né sul minore.
Solo la seconda perizia ha evidenziato un attaccamento eccessivo dei genitori nei confronti della figlia.
E tu levi una bambina alla sua mamma e al suo papà perché questi sono troppo attaccati ed ansiosi, e non hanno i soldi per mantenerla?
Mi sembra ovvio che un genitore diventi ansioso se non ha un lavoro e i soldi per mantenere i figli, cribbio!
Ma se lo stato invece che dare i soldi ai centri accoglienza, desse i soldi alle famiglie in crisi, lasciando i figli con i genitori e aiutandoli così ad eliminare le ansie?
Adesso il papà della bimba ha un lavoro fisso, ma sua figlia è sparita.
In uno degli ultimi incontri con la madre, quella bimba ha chiesto se fosse stata lei a fare qualcosa di sbagliato costringendo quelle persone a portarla via da casa.
Scusate, ma non capisco, e mi rifiuto di capire.
So solo che le leggi ci sono e che , salvo casi davvero diversi da questo, sono sempre dalla parte dei genitori, e della famiglia.
I figli devono poter crescere e vivere con i genitori.
Ma perché vengono fatte e leggi se poi non vengono applicate?
Questo paese ha dei seri problemi, serissimi problemi.
Barbara
 
 

Tanti auguri dalla tua bricci.

 

Solo quando diventi mamma puoi capire quanto sia difficile fare la mamma.
Solo quando diventi mamma puoi capire quanto sia dura dire di no.
Solo quando diventi mamma puoi capire quanto, a volte, sia difficile anche dire di sì, e lasciar andare.
Solo quando diventi mamma puoi capire quanto possa essere impegnativo sapere che il futuro di qualcuno dipenderà da te.
Solo quando diventi mamma puoi capire quanto sia bello sapere che non sarai più sola.
mammafotoGrazie mamma, perché io non ho fatto più sentire sola te, ma tu non hai più lasciato sola me.
Grazie mamma, perché sei sempre stata al mio fianco, anche quando forse avresti potuto mandarmi a spigolare, come ci piace dire a noi.
Grazie perché da quando sono diventata mamma anche io, sono diventata più dura, più esigente, più rigida, ma tu hai spesso fatto finta di niente.
Grazie perché mi hai sempre lasciata libera di sbagliare, e di capire, con un tuo aiuto, ma da sola.
Perché è solo sbagliando da soli che si cresce davvero.
Grazie perché mi hai insegnato a vivere, e a sorridere, sempre.
Grazie perché mi hai spiegato da subito che tutti meritano rispetto.
Grazie perché mi hai dato un’infanzia serena, e piena di stimoli.
Grazie perché mi hai lasciata andare, anche se so che è stata dura.
Non deve essere stato facile sapermi a Milano, da sola.
1988: Il mio debutto, in società

1988: Il mio debutto, in società, a Venezia

Ma tu ti sei sempre fidata di me, e io ho cercato di non tradire mai la tua fiducia.

Grazie per tutti i treni che hai preso per fare la mamma, e per quelli che continui a prendere per fare la nonna.

Grazie per essere la nonna che sei, senza dimenticarti di essere mamma.
Non sono sempre rose e fiori, e spesso ci scontriamo, ma sai bene che succede perché l’amore è forte, fortissimo.
E quando ci si ama, ci si scontra, sempre.
Come potrei dimenticare le amiche che venivano a suonare al nostro campanello, per parlare con te?
Perché tu hai sempre saputo ascoltare, senza giudicare, senza condannare.
Orgogliosa e felice di avere una mamma come te, da sempre e per sempre.
Auguri mamma
La tua Bricci
E ovviamente i miei auguri, di cuore, vanno a tutte le mamme del mondo.
A quelle che combattono, a quelle che sorridono e a quelle che a volte piangono.
Perché fare le mamme è dura. e a volte fa paura.
Perché fare le mamme spesso è davvero stancante, e può capitare che stanchezza e stress si trasformino in urla, e lacrime.
E’ umano cedere, è umano piangere.
E’ umano pensare di non potercela fare.
E’ umano anche andare a letto distrutte, e risvegliarsi col sorriso, per andare incontro ad un abbraccio.
I miei auguri vanno anche a quelle donne che non sono diventate madri, ma che sono madri dentro.
Perché le donne nascono madri, e se non lo sono dei loro figli, a volte lo diventano dei loro amici a quattro zampe,  degli amici del cuore, dei fidanzati e dei mariti.
Siamo nate per occuparci di chi amiamo.
E quindi tanti auguri anche a chi mamma non è, ma mamma si sente.
Barbara
 
 

 

La forza dell’indipendenza

 
Quando Daniele aveva 5 anni (l’anno scorso) era arrivato a svegliarsi da solo, con la sveglia.
La aveva voluta lui, la sveglia.
Era stato lui a chiedermi, la prima volta, di preparare la colazione per tutti noi, e lo aveva fatto pure bene.
Era stato lui a chiedermi di preparargli i  vestiti la sera prima, in modo da potersi vestire da solo la mattina, dopo il risveglio con la sveglia.
A volte aveva scelto anche i vestiti, da solo.
E poi?
E poi ho rovinato tutto.
Un pò per fare più in fretta, un po’ per poterlo svegliare con un bacio e vestirlo tenendomelo ancora sulle ginocchia, ho fatto retromarcia e, così facendo, ho fatto regredire pure lui.
Che idiota!
E’ così difficile fare il genitore.
E’ così facile sbagliare, per esubero d’amore.
Risultato?
Sono giorni, settimane, che quando vado a svegliare Danny lui apre gli occhi, ed è già di pessimo umore.
E io? 
E io che invece sorrido sempre, io che non tollero i cattivi umori e i capricci, spesso iniziavo le mie giornate piena di rabbia e di rancore.
Ieri poi…
Ieri Danny si è svegliato più nero che mai: aveva basket e non ne voleva sapere di farlo.
E io avevo un funerale, e non ne volevo sapere di dover salutare un amico così, troppo presto.
Mio figlio ha pianto dal mio bacio del risveglio al portone di scuola, e io ho iniziato a piangere dopo, camminando.
Ho camminato per 6 km sperando che la mia rabbia si spegnesse, ma nulla.
La mia rabbia è passata solo in Chiesa.
La mia rabbia è passata solo quando ho sentito le parole delle due figlie del mio amico, di quell’amico che sorrideva sempre e che aveva sempre una parola buona per tutti.
Quelle due ragazze hanno ringraziato il padre per averle rese quello che sono, per aver loro insegnato a camminare da sole.
I figli amano i loro genitori e amano stare accanto a loro, addosso a loro.
Ma i figli amano anche sentirsi indipendenti, sapere di essere in grado di camminare con le loro gambe.
Marco prima di andarsene ha fatto quello: Marco ha dato alle loro figlie tutto ciò di cui avevano bisogno per andare avanti da sole.
“Vai pure papà, ora siamo pronte!”
Che dolore, ma quanta consapevolezza e quanto equilibrio in quelle parole.
Grazie Marco!
Grazie perché anche da lassù hai saputo aiutare, ancora.
Mi hai dato una grande lezione ieri.
Stamattina per mio figlio è risuonata la sveglia.
Stamattina mio figlio ha ritrovato i suoi vestiti piegati sul tavolo.
Stamattina mio figlio si è svegliato felice della sua indipendenza, e ha preparato la colazione.
Stamattina mio figlio era felice di andare a scuola, e di abbracciare la sua mamma che lo aveva fatto sentire di nuovo grande.
La forza dell’indipendenza!
Barbara 

coverfoto

 

 

Era ora!

 
Il tempo necessario all’esecuzione di un test di paternità, in condizioni standard (tra due o tre soggetti viventi), è compreso tra i 3 e i 5 giorni lavorativi.
Pia è nata il 5 dicembre 2012 e suo padre, solo domenica scorsa, ha scritto su twitter: “Finally the truth, Pia…Sweet child of mine!!! Your Dad”
Caro Mario Balotelli, ma di chi pensavi che fosse questa bellissima bimba?
Ma non lo hai visto subito che era la tua fotocopia?
La signora Raffaella Fico non sarà uno stinco di santa, ma tu ci sei stato fidanzato bello mio, e non credo che giocaste a briscola no?!
Ti sei perso il primo anno di vita di TUA  figlia, anzi, dipppiù.
Ti perso il suo arrivo in questo mondo, perché quel giorno non c’eri.
Ti sei perso il calore di un figlio quando ti sia addormenta sul petto.
Ti sei perso il suo primo sorriso.
Ti sei perso i suoi primi profumi, e le sue prime puzze.
Probabilmente, ti sei perso anche i suoi primi passi, e non perché eri in ufficio come capita a certi papà, ma perchè eri in mutande che correvi dietro ad un pallone, o a qualche altra seria donnina.
I figli si fanno in due e, soprattutto, non si fanno pagare ai bambini i dissapori tra i genitori.
Sei stato fidanzato con la signora Fico?
Ci hai fatto “bungabunga” (termine quasi più adatto a te che al signor Silvio)?
La bambina nata poco dopo la vostra relazione era color caffellatte e ha sempre avuto il tuo sorriso (che su di te sa di “ebete”, ma su di lei è bellissimo)?
E quindi?
Secondo me il test del dna era davvero superfluo, ma se avevi così tanta paura che Pia fosse figlia di un idraulico africano, potevi anche svegliarti prima no?
Il risultato di un test del dna si può chiedere anche d’urgenza, e avere il risultato in 48 ore.
Ci hai messo più di un anno a deciderti, e ora tutto felice scrivi su twitter: “Finally the truth, Pia…Sweet child of mine!!! Your Dad”.
Strana razza gli uomini.
Della serie “Meglio tardi che mai”.
Ricordati che quella bambina un padre ce lo ha sempre avuto, e sempre ce lo avrà.
Non importa se non ami più sua madre, e non importa se non ti va più di condividere con lei la tua casa e la tua vita, ma Pia è tua figlia e non deve pagare per il vostro amore finito.
Nessun figlio dovrebbe pagare per l’amore finito dei genitori.
Barbara
PS: la foto l’ho gentilmente presa in prestito da “Chi”, la mia “bibbia”.