Il camion che vedete nella foto qui sopra è un classico camion che consegna gelati
Il camion che vedete qui sotto è il camion che ha portato morte, disperazione, dolore…
Il camion che vedete nella foto qui sopra è un classico camion che consegna gelati
Il camion che vedete qui sotto è il camion che ha portato morte, disperazione, dolore…
Quante volte ci ritroviamo a guardare le foto degli altri, su Facebook, su Instagram, o altrove?
Spesso
Quante volte ci ritroviamo a provare un pizzico di invidia?
Spesso
Sono appena tornata da un week-end a Venezia, nella mia città, e mi sembra di essere stata via una settimana.
Tutte le volte che torno a casa mi ripropongo di staccare la spina, e di prendermela un po’ con calma, ma alla fine mi ritrovo a girare come una trottola, tra campi e campielli.
Cosa succede mettendo un cellulare nel riso?
Succede che il cellulare si asciuga e tu, all’improvviso, ti ricordi di come si stava bene quando…
Adesso vi spiego meglio.
Un paio di giorni fa ho avuto una giornata di quelle un po’ di corsa, un po’ complicate.
La giornata è iniziata con la pioggia, e quindi ho dovuto lasciare a casa il mio amato scooter, e optare per la mia bat renna, e il traffico.
Avevo un appuntamento di lavoro e poi dovevo andare in sede al Milan a ritirare una regalo per un amico.
Conoscevo bene la vecchia sede del Milan, visto che ci avevo lavorato, ma la nuova sede era per me ancora un mistero, e anche il mio navigatore del cellulare non conosceva quella via…
Devo dire che la nuova sede del Milan è davvero bella, e imponente, ma il calore della vecchia sede era un’altra cosa.
Sarà una questione affettiva, ma la nuova sede mi sembra un po’ una clinica svizzera, vabbè!
Tornando verso casa il cellulare ha deciso di abbandonarmi: lo schermo è diventato nero, ma il cellulare suonava, e io non potevo rispondere.
Sono tornata a casa, ho lasciato la macchina, sono salita in scooter e mi sono precipitata alla Apple di Rozzano, per scoprire che si era sono impallato lo schermo, e che sarebbe bastato schiacciare due pulsanti assieme per ripristinarlo.
Un’ora persa guidando lo scooter sotto la pioggia, al freddo.
Ero stanca e arrabbiata.
Avevo bisogno di una coccola, e quindi, prima di andare a prendere mio figlio a scuola, sono andata dalle veloci cinesi per farmi fare mani, piedi e massaggio foLte su poltLona vibLante.
Avevo il cellulare appoggiato sulle gambe, i piedi immersi in una vasca di acqua calda, e le mani affidate ad una seconda ragazza.
Ad un certo punto la ragazza ai mie piedi mi fa inavvertitamente il solletico, io muovo le gambe di scatto, e il mio cellulare finisce dritto dritto nella vasca di acqua calda, assieme ai miei piedoni.
Prendi il cellulare al volo, asciugalo, tira fuori la sim, e infilalo nel fornetto che le cinesi di solito usano per asciugare le unghie.
Corri a prendere il figlio, passa al volo in un negozio che ripara telefoni, dove scopri che il tecnico era appena andato via, e scappi a casa in cerca di un kilo di riso, nella dispensa.
Riso?
Eh sì, perché già la scorsa estate mi era caduto il cellulare nell’acqua, di mare, e lo avevo salvato mettendolo nel riso.
Ho asciugato ancora un po’ il cellulare con il phon, ho infilato un cotton fioc nel buchino del microfono per togliere l’acqua in eccesso, e, senza rimettere la sim, ho infilato il cellulare in un kilo di riso verso le sei di sera, e ce l’ho lasciato per tutta la notte.
Vi starete chiedendo se il trucco ha funzionato, e se il riso ha davvero assorbito tutta l’umidità che si era formata nel cellulare.
Ebben sì, il cellulare è resuscitato, e, per ora, funziona perfettamente.
Ma la cosa più importante è che io ho passato una bellissima serata, senza di lui.
All’improvviso mi sono ricordata di quando i cellulari non esistevano.
Mi sono ricordata di quando suonava solo il telefono di casa, e, se rispondevi, all’altro capo del filo c’era un parente, o un amico, e non un operatore di Vodafone o di Sky, pronti a farti alzare da tavola per proporti l’ultima loro imprendibile offerta.
Mi sono ricordata di quando le foto, per vederle subito, non le facevi con il cellulare, ma con la polaroid, e dovevi aspettare quel magico minuto in cui l’immagine prendeva forma davanti ai tuoi occhi.
Mi sono ricordata di quanto era emozionante portare un rullino a sviluppare, e aspettare un paio di giorni prima di poter vedere se le foto erano venute belle, e se valeva la pena stamparle più grandi, o fare le copie per gli amici.
Mi sono ricordata di quanto era magico sentire la sua calda voce che usciva dalla cornetta, altro che sms e whatsapp.
E vogliamo parlare dell’intimità che a volte si andava a cercare dentro una cabina telefonica, quando non volevi che nessuno, a casa, ascoltasse i cavoli tuoi?!
Ho una gran bella collezione di cd, ma non ricordo l’ultima volta in cui ho sfilato uno di quei cd dal suo scaffale, per infilarlo nello stereo.
Ormai ascolto la musica dal cellulare, o dell’ipod
Mannaggia!
Se penso che sono stata una delle ultime tra i miei amici a comprare al cellulare…
Avevo una fantastica segreteria telefonica, e ascoltavo i messaggi anche quando ero fuori casa, appoggiando il magico bip sulla cornetta, e digitando il mio codice segreto (questa ve l’eravate dimenticata eh?!)
Ho resistito a lungo, ma poi ho ceduto, e ho velocemente recuperato il tempo perso.
Ormai il cellulare è diventato una prolunga del mio braccio destro.
Quanti sguardi si perdono per colpa di questi cellulari.
Quante parole, quante emozioni.
Quante coppie si vedono sedute al ristorante con la testa bassa.
Sono tristi? No no, sono solo concentrati sugli schermi dei loro cellulari, invece che sullo sguardo di chi siede davanti a loro.
Capita anche a me, capitava anche a me…
Quando ti rendi conto ci certe cose, diventa inevitabile cercare di correggersi un po’, e a volte qualcosa si riesce a fare.
La ragazza che mi ha assistito alla Apple mi ha detto che spesso i cellulari si impallano perché ormai la gente non li spegne più, neanche di notte.
Quella ragazza mi ha fatto riflettere.
Quella sera il mio cellulare ha dormito nel riso, e io mi sono goduta un bel film, senza distrazioni.
Mio figlio era al sicuro nel suo letto, e mio marito era fuori a cena.
Mia mamma e mio marito il numero del telefono di casa lo conoscono bene, e io ero serena, anzi, serenissima (essendo veneziana)
Spegniamo un pò di più questi cavolo di cellulari, e dedichiamo le nostre attenzioni alla nostra famiglia, agli amici, e a noi stessi.
Settimana scorsa sono andata a ballare al 4cento, a Milano.
La musica era bellissima.
Ad un certo punto mi sono avvicinata a Danilo, il dj, e gli ho chiesto se aveva una sua cassetta.
Danilo si è messo a ridere, e io con lui.
Bei tempi quelli delle cassette, e della penna bic, perfetta per arrotolorare il nastro quando il mangiacassette faceva i capricci.
Oggi sono in fase nostalgica, ma una nostalgia piacevole, di quelle nostalgie che ti riportano indietro, e ti accarezzano il cuore.
Buon fine settimana amici.
E che la corsa per gli ultimi regali abbia inizio!
Besos
Barbara
Il Muro di Berlino, costruito il 13 agosto del 10961, circondava Berlino Ovest per 161 chilometri, era alto tre metri e mezzo.
Al momento della sua caduta, il 9 novembre 1989, migliaia di berlinesi dell’est superarono la frontiera accolti festosamente dai concittadini occidentali.
La caduta del Muro di Berlino simboleggia l’inizio del processo di unificazione della Germania, e la fine di un’era storica
Si possono leggere fiumi di parole, ma è davvero difficile capire cosa significasse davvero quel muro per i Berlinesi.
Oggi ne parlavo con la mamma di un compagno di classe di Danny, e forse qualcosa in più l’ho capito.
La mamma di Leon ora vive in Italia, ma è cresciuta a Berlino ovest.
Quando le ho chiesto cosa fosse stata la prima cosa che ha fatto appena caduto il muro, lei mi ha risposto “Sono andata in campagna!”
Il muro era nato per impedire che chi stava nella Germania dell’est potesse scappare in occidente, ma le conseguenze le ebbero ovviamente anche quelli che vivevano a Berlino ovest: se volevi andare a Berlino est potevi farlo solo con un visto, e per eventi importanti come matrimoni e funerali, e se volevi andare in campagna dovevi percorrere per ore una lunga strada.
I Berlinesi dell’est, per 25 anni, sono cresciuti in una sorta di prigione, e i berlinesi dell’ovest sono cresciuti senza campagna, senza verde.
Nel 1989 cadde il muro e al senso di gioia sì unì, per quelli dell’est, la preoccupazione per i soldi: avevano poco e quel poco non valeva nulla.
Ci volle del tempo, ma le cose cambiarono, la moneta diventò la stessa per tutti, e il senso di smarrimento lasciò presto spazio a quel senso di appartenenza, e di unione, tanto atteso.
Solo oggi forse riesco a capire davvero le emozioni forti e contrastanti che hanno caratterizzato quel momento così importante di 25 anni fa.
Certo è che se io penso a Berlino, le emozioni che mi tornano in mente sono altre, e nulla hanno a che vedere con muri e punti cardinali.
Se penso a Berlino il mio primo pensiero va a quel messaggio inaspettato, e a quel viaggio…
Ho conosciuto mio marito in discoteca, durante una vacanza in Tanzania, a Zanzibar, tramite amici comuni.
Dopo una piacevole serata in compagnia, gli avevo lasciato il mio biglietto da visita: dopo pochi giorni era capodanno, ma i miei amici ed io saremmo salpati il giorno dopo, a bordo del catamarano che avevamo affittato, per proseguire il nostro tour verso il nord di Zanzibar.
Avevo lasciato il mio numero a quel ben ragazzotto (ai tempi pesava circa 20 kg più di oggi) nel caso in lui e i suoi amici avessero deciso di raggiungerci a Nungwi per il 31, e invece…
E invece la telefonata non arrivò, e a capodanno loro restarono nel loro villaggio, e noi festeggiammo in spiaggia.
Nel gennaio del 2004 però…
A gennaio ero in aeroporto, da sola, in attesa di un volo per Berlino.
A Berlino c’era la settimana della moda, e un sacco di feste carine in programma, e quindi avevo deciso di partire per il fine settimana, e di raggiungere degli amici.
BIP BIP: ed ecco che arrivò quell’inaspettato sms: “Ciao, sono Marcello. Non so se ti ricordi di me: ci siamo conosciuti a Zanzibar”.
Marcello? Eccerto che me lo ricordavo!
Un rapido cambio di messaggini, un invito a cena rimandato causa mia partenza, un mio invito provocatorio a raggiungermi subito all’aereoporto per partire con me, e quella sensazione di incredibile euforia strampalata che ti assale quando senti che sta per succedere qualcosa di bello.
A Berlino ci sono andata da sola, come da copione, ma mentre giravo esplorando per la prima volta quella città, mentre facevo shopping, e mentre ballavo in una delle varie feste di quella intensa settimana del “Bread & Butter” (robbbba di fiera, moda, sfilate etc etc), il mio pensiero tornava a quel sorriso incontrato in Africa.
Al mio ritorno ci siamo visti: prima una cena tranquilla a casa mia e ,un paio di giorni dopo, il primo bacio.
Come mai un paio di giorni dopo?
Ho voluto fare quella che lo faceva aspettare, tirandosela un po’?
Ma quando mai! E’ stato lui che la prima sera non ci ha provato, e io c’ero pure rimasta male, molto male.
Mi ha fatto aspettare, ma ne è valsa la pena, perché da quel giorno non ci siamo più lasciati, e a Berlino ci siamo tornati, assieme.
Amo Berlino.
La amo per quel che rappresenta nell’album dei miei ricordi, ma la amo anche per quell’incredibile energia che la contraddistingue.
E’ come se il 9 novembre del 1989 qualcuno avesse stappato una bottiglia di Champagne, dopo averla prima agitata per bene: da quel giorno Berlino è esplosa, e ha iniziato a spiccare quel lungo, ma veloce volo verso il futuro, sbattendo forte quelle ali che per troppo tempo erano state tarpate.
Incredibili opere archittettoniche, palazzi che sembrano sparire nel nulla, musei in cui perdersi, piazze coperte, sabbia in città, feste fantasmagoriche, incredibili location, e tanta, ma tanta ineccepibile organizzazione.
Ecco cosa mi ricordo di Berlino, ma sono ricordi lontani, che forse hanno bisogno di una rispolverata.
Forse è giunto il momento di tornarci.
Barbara