La doppietta su cui riflettere non sono i goal di qualche partita e non siamo neanche Valeria Marini ed io, ma i due film che ho visto ieri sera.
Certo è che se non avete niente di meglio da fare e volete riflettere anche su noi due e sulla foto qui sopra, fate pure.
Se per esempio vi state chiedendo quanto sia alta Valeria allora vi svelo che lei aveva un super tacco mentre io no: il tacco 12 lo avevo in borsa, ma la voglia di indossarlo è rimasta in borsa con le scarpe.
Io i tacchi li tempero, ma faccio proprio fatica ad indossarli.
Se vi state chiedendo quando sia dimagrita Valeria, vi dico solo che non la vedevo da un po’ e che ieri l’ho trovata proprio bene, si vede che il matrimonio aiuta.
E poi è proprio simpatica e genuina, doti rare ai giorni d’oggi, specialmente in certi ambienti.
Ma torniamo alla vera “doppietta”di cui parlo nel titolo.
Ieri sera ho visto “The zero theorem” del gradissimo Terry Gilliam (quello di Monhy Python, Brazil e le 12 Scimmie) con Mélanie Thierry e Matt Damon, non presente alla mostra, ma “chissene”, e subito dopo sono rientrata in sala grande per “Locke” di Steven Knight, con un fantastico Tom Hardy.
“The zero theorem” racconta di una Londra del futuro che ricorda e prende in giro”Blade Runner”.
Una città del futuro in cui le sigarette sono scomparse, ma durante una festa vedi ancora la gente avvicinarsi le due dita unite alla bocca: hanno finalmente tutti capito che le sigarette, vere o elettroniche, fanno male, ma il bisogno della gestualità è rimasto.
Il protagonista è un uomo, deluso dalle esperienze passate, che ha deciso di isolarsi e di cercare il senso della sua vita, e le riposte alle sue domande, nella tecnologia, in una telefonata che non arriva mai, nel tentativo di risolvere un teorema che non ha soluzione.
L’amore gli passa vicino, prima virtuale e poi vero, in carne ed ossa, ma lui ha paura e se lo lascia scappare per tornare alla sua gigante play station, che non lo deluderà mai, forse
Un film che fa riflettere, amo i film che fanno rifletter.
Con i computer, i social network e la ricerca della perfezione, a cui spesso si ambisce per essere accettati, abbiamo creato un mondo nuovo, parallelo a quello reale, ma a volte rischiamo di togliere spazio, tempo e valore a chi ci sta vicino, ai sentimenti e alle emozioni “terrene”.
Uscendo dalla sala ho incrociato il regista (che stava scappando in bagno a fare pipì) e lo ho ringraziato confessandogli che il suo film mi aveva fatto pensare, molto.
Non nego che nell’ultimo anno sono diventata “schiava” prima di facebook e poi del mio blog, di Instagram e dei commenti di tutti voi.
Chi non ha bisogno di affetto, di soddisfazioni e di carezze virtuali?
Ma diventarne dipendenti non va bene, si rischia davvero di trascurare il resto, gli affetti veri.
Terry Gilliam mi ha detto “Vai a casa e spegni il computer” e io gli ho risposto “quello è spento, ma il problema è il mio cellulare con cui ho appena scattato la foto con lei”, e lui ha sorriso.
Dopo “The Zero theorem” mi sono fiondata al bar lì davanti per mangiare un toast al volo.
Alla fine del primo film , che abbiamo visto assieme, Valeria Marini e Randy Ingerman (un’altra donna, amica, che io stimo perchè ne ha passate di tutti i colori, ma non ha perso il sorriso) se ne sono andate a Venezia a cena con il maghetto di “Harry Potter”, ma siccome ho saputo che quel nanetto lì sa fare un sacco di magie, ma per la cellulite non ha ancora trovato una soluzione, io ho deciso di rimanere al Lido e di vedermi anche il film dopo: “Locke”: un film da non perdere.
Novanta minuti in cui si vede solo Tom Hardy mentre affronta un viaggio in macchina e dentro di sé.
Gli altri protagonisti del film sono solo delle voci con cui il protagonista parla al telefono, per tutta la durata del film.
E’ la storia di un uomo che aveva tutto: una famiglia, una moglie che ama, due figli e un lavoro di grande responsabilità che gli aveva sempre dato grandi soddisfazioni.
Poi una sera quell’uomo cede, fa un errore, e la sua vita cambia, perde tutto.
Non vi racconto niente di più perchè dovete andarlo a vedere, perché il messaggio, forte, è che quel padre di famiglia rischia di mandare a rotoli tutto per non ripetere gli errori che suo padre aveva fatto con lui, abbandonandolo, da piccolo.
“Locke” mi ha fatto pensare a come a volte sia strana la vita.
A volte quando siamo piccoli ci sono atteggiamenti dei nostri genitori che odiamo e poi cresciamo, diventiamo noi i genitori e ci ritroviamo a fare gli stessi errori che facevano loro.
A volte invece riusciamo a prenderci il tempo per fermarci un attimo, contiamo fino a 10 e riflettiamo.
Ecco che allora riusciamo a cambiare l’impronta che ci è stata lasciata addosso e prendiamo un’altra strada, molto diversa.
Quante volte ci siamo ritrovati a pensare “Quando sarò grande e avrò dei figli non farò mai così, non risponderò mai così” e poi invece…
Gli anni passano, il tempo passa, succedono tante cose e ci dimentichiamo le vecchie promesse, i vecchi propositi.
Siamo cresciuti, molti di noi da figli sono diventati genitori.
Ora è arrivato il nostro turno, il momento di usare il passato per cambiare il futuro.
Abbiamo piccole armi e grandi possibilità.
Mica male no?!
E quindi unendo “The Zero theroem” a “Locke” ho deciso che ora rileggo il post, lo pubblico e poi spengo il computer e continuo la mia navigazione, ma in spiaggia e senza alzare la voce.
Barbara
 
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